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COSÌ PARLÒ ZARATHUSTRA
- Intervista di Gianfranco Paludi a P. L. Maurer -
P. L. Maurer è naturalmente uno pseudonimo, ma il personaggio è autentico e, tra una passeggiata e l'altra sul lungomare di..., ancora oggi, dopo più di quarant'anni di studi e di ricerche, ha la capacità di entusiasmarsi quando gli recapito un nuovo libro sulla materia che così tanto l'appassiona, proprio come se fosse la sua prima lettura sull'argomento. La sua proverbiale ritrosia l'ha sempre tenuto lontano da ogni ribalta e, nonostante una trentennale frequentazione, non è stato facile strappargli la promessa di dare un contributo alla realizzazione di questo sito. Ne è venuta fuori un'intervista che può essere presa come base di discussione per un dibattito ampio ed articolato su tutte le tematiche che investono lo studio sui giochi d'azzardo, proprio nell'ottica che è nei miei auspici (g.paludi).
Mi fa accomodare di fronte al caminetto, attizza il fuoco, aggiunge un tronchetto di legna e si viene a sedere sulla poltrona a fianco. Cortese, educato, sorridente. Mi sembra disponibile. Mentre consumiamo i convenevoli di rito, alternati a sorsi di un morbidissimo cognac spagnolo, penso che se limiti devono esserci è meglio che li ponga lui. Sarà sempre meglio che rimanere nel dubbio che coglie sempre chi non ci prova. Premo il pulsante del registratore.
- Signor Maurer, da quanti anni si occupa di gioco d'azzardo?
- Esattamente non saprei dirle: dietro di me la storia comincia ad allungarsi un po' troppo; sicuramente più di quarant’anni.
- Parecchio, direi. Ricorda come è cominciata?
- Questo sì. E posso farlo con dovizia di particolari perché é stato un evento-svolta della vita. Tutto è cominciato una sera in cui i miei amici riuscirono a trascinarmi in una bisca clandestina. Nessuno di noi era maggiorenne. Per quanto mi riguarda, avevo avuto una educazione che oggi si definirebbe rigida. Rispetto al gioco d'azzardo ero cresciuto con l'incubo del non-ritorno: cioè della ineluttabilità, per chi ne fosse contagiato, di iniziare un percorso alla cui fine c'era solo l'inferno. Per farla breve, chiunque doveva finire come il protagonista di quello stupendo racconto di Dostojevski.
- Beh, a quanto pare non era poi tanto convinto se ha accettato di farsi trascinare, come dice lei, in....
- Al contrario. Inizialmente avevo opposto una fermissima resistenza. Sono rimasto solo al bar per molte sere. Quella sera qualcuno suggerì un compromesso. Li avrei accompagnati ma non avrei puntato neppure un centesimo. Potevo fare a meno di ripromettermi tanto rigore: una volta là fui emotivamente ed intellettualmente sconvolto da qualcosa che mi impediva qualsiasi attenzione alle bizzarrie della pallina. Tra la più classica nuvola di fumo, fiches che andavano e venivano, mani che si agitavano, puntate "alla voce" e bestemmie, seduto a bordo tavolo c'era un giovane calmo, sereno, imperturbabile. Osservava con distacco quanto gli avveniva intorno; davanti a sé un quadernetto su cui apponeva strani geroglifici. Mi rivolsi ai più vicini per chiedere cosa ci faceva con quegli appunti. Quello che sembrava il più "abituée" mi guardò con sufficienza prima di confidarmi, con aria complice, che "quello" aveva un "sistema".
- Dall'enfasi con cui ne parla si direbbe che questo episodio sia stato una specie di folgorazione.
- Sì, fu proprio così. Un evento traumatico. Sino ad attimo prima per me la roulette era un'invincibile macchina infernale al servizio del demonio. L'idea che un uomo potesse averne ragione opponendo la sua intelligenza e la sua genialità, rappresentava una sfida straordinaria ed irresistibile. Quell'idea ha ossessionato la gran parte della mia esistenza.
- Mi consenta di interromperla. Sa, prima di incontrarla mi sono un poco documentato:
a parere generale, sembra che ci sia la inevitabile sconfitta dei giocatori. Qual è stata la sua esperienza?
- La mia esperienza dice che a questa domanda esistono due risposte: una negativa e l'altra positiva. E' vero che il giocatore è destinato fatalmente alla sconfitta. Ma è vero anche il contrario. La verità, a volte, è molto complessa: si dice che è a metà strada tra il diritto e il rovescio. Qualche volta è un intreccio dell'uno e dell'altro.
- Di fronte a questa affermazione, le devo chiedere se intende dire che esiste un "sistema " per vincere al gioco.
- Non esiste un sistema per vincere al gioco. Ne esistono almeno una mezza dozzina.
- Signor Maurer, non mi starà prendendo in giro, per caso?
- Assolutamente no. Ripeto, per quanto è a mia conoscenza vi sono cinque o sei idee-base sulle quali sono stati costruiti dei metodi di gioco che danno un vantaggio al giocatore.
- Ma allora come si concilia questa affermazione, che ritengo clamorosa, con quella, sempre sua, che il giocatore è perdente?
- Oltre l'orizzonte c'è proprio questa contraddizione: in teoria, esistono i mezzi e gli strumenti per giocare al gioco; in pratica, l'uomo trova dinanzi a sé, ma la verità è che sono dentro di sé, ostacoli tali che rendono l'impresa pressoché impossibile. Quando incominciai ad occuparmi di queste cose, qualcuno sosteneva che era possibile scalare il K2. Ma vi era anche chi sosteneva il contrario.
- Scusi ma il K2 venne scalato....
- Sì, da un paio di uomini. Lei ha un'idea di quanti avrebbero voluto farlo? La preparazione tra chi riesce e coloro che falliscono stabilisce il confine tra il possibile ed il pressoché impossibile. Non so se sono riuscito a spiegarmi.
- Si é spiegato benissimo. Ma a questo punto, dovrei chiederle quanti sono gli uomini che sono usciti vincitori nella sfida con il gioco d'azzardo.
- In un secolo di storia non posso certo saperlo. Se mi chiede quanti sono, in questo momento ed in Europa, posso dirle che saranno una dozzina.
- Intende dire uomini come il prof. Jarecki, ma meno conosciuti alla stampa?
- No. Intendo dire individui assolutamente sconosciuti. Nel momento in cui diventano noti la loro impresa è irrimediabilmente fallita. E per sempre.
- Ma, allora, il prof. Jarecki?
- Forse lei è troppo giovane per esserne a conoscenza. Ma, prima di Jarecki altri personaggi sono balzati agli onori della cronaca per aver "battuto" la roulette. Negli anni venti/trenta, furono famosi Garcia, Jaggers, Wells (al quale fu dedicato addirittura una canzone: L'uomo che sbancò Monte-Carlo). Negli anni cinquanta furoreggiava un certo Bemo Winkel che, pensi un po', giocava con la mascherina sul viso circondato da uno stuolo di segretarie. Potrò sbagliare ma, personalmente, rimango dell'idea che siano state tutte montature pubblicitarie alimentate interessatamente dai Casinò che, da questi clamorosi fatti di cronaca, ricavano notevoli benefici in termini di immagine e di incassi. Un po' come avviene per il Totocalcio nelle settimane successive a quelle in cui viene registrata una vincita rilevante.
- Dunque, la notorietà sarebbe un elemento negativo. Scusi, ma a me questa necessità assoluta di anonimato mi sembra un po' maniacale.
- Non mi stupisce: lei è estraneo al mondo di cui stiamo discorrendo. Ma provi a frequentare un Casinò per alcuni giorni armato di taccuino e penna. Giochi come vuole, anche "a casaccio" come si dice: purché dia l'impressione che le sue puntate sono frutto di calcolo. Se avrà la fortuna di incontrare un momento particolarmente favorevole e non troppo breve, verrà avvicinato da un distinto signore che l'accompagnerà cortesemente alla porta ritirandole la carta d'ingresso. Carta d'ingresso sul retro della quale è scritto che può essere ritirata in qualsiasi momento, senza che la direzione della casa sia tenuta a precisarne il motivo. Da quel giorno, ogni volta che proverà ad entrare troverà un cortese quanto irremovibile rifiuto. Gli schedari delle case da gioco non hanno nulla da invidiare a quelli dei servizi segreti.
- Bhe, se le cose stanno in questi termini penso che si possa considerare esaurito l'argomento e tornare indietro di qualche passo. Mi dica qualcosa di quei sistemi di cui parlava poc’anzi.
- Non intendo parlarne più di tanto. Posso dire che si tratta di idee-base note, forse non alla gran massa degli appassionati, e, comunque, solo parzialmente. In linea di massima ciò che è conosciuto, solo in apparenza è un modulo completo. Chi, a suo tempo, l'ha divulgato ha taciuto qualcosa di proposito. In altri casi si è reso opportuno integrare l'esistente con accorgimenti che l'esperienza ha suggerito. Infine, c'è qualcosa di assolutamente inedito che rimarrà tale.
- Non ha, quindi intenzione di divulgare la sua esperienza?
- Guardi, io non ho la vocazione del docente, tantomeno quella del demiurgo di turno. Anche perché non vedo una sola ragione che mi possa convincere che ciò è sbagliato. Ho conosciuto personaggi come F. R. Gal, M. Boutet e H. Daniel: tutta gente che a capo di una rivista specializzata ha saputo catalizzare intorno a sé generazioni di studiosi, ricercatori o semplici curiosi. Una rivista specializzata, ed oggi un sito Internet autorevolmente gestito, coagula interessi, favorisce lo scambio di esperienze, apre i confronti. In altri termini crea il dialogo: dei lettori con la rivista e tra di loro.
- Quindi niente concernente quei sistemi di cui parlava?
- Mi spiegherò meglio. Non ho trascorso parte della mia vita a parlare dei venditori di promesse mirabolanti quanto impossibili per cominciare adesso a razzolare come loro. Tanto per cominciare ciò che io conosco non è mio: nel senso che non è frutto del mio lavoro, se non nelle conclusioni. Dunque, non ne posso disporre a mia discrezione. Ma diamo per scontato questo aspetto. Supponiamo, inoltre, che lei entri nell'ordine di idee di venderlo per ricavarne un beneficio economico. Quanto vale il suo sistema? Centomila lire? Un milione? Un miliardo? E, in termini di garanzia a chi lo volesse comprare, cosa offre? Esperienze, convinzioni e risultati inverificabili. Diamo per scontato anche il superamento di questi altri problemi. Lei sarà, in ogni caso, un semi-truffatore per il 99% dei suoi sottoscrittori: perché sa già, in partenza, che quella è la percentuale di coloro che non riusciranno a trarne beneficio. E ciò, per la semplice ragione che non gli può vendere, unitamente allo strumento, il talento per farlo suonare.
- Mi pare che si stia tornando su un punto che lei ha già toccato: quando ha parlato delle difficoltà che l'uomo incontra dentro di sé. Vogliamo parlarne un po' più ampiamente?
- Certo. Perché è il punto nodale di tutta la questione. Il guaio è che l'argomento richiederebbe un intero trattato. Sintetizzarlo significa esporlo malamente. Cercherò di esprimermi "a fumetti".
- Punto primo. Nessuno può pensare di vincere sistematicamente al gioco da dilettante. O si è giocatori professionisti oppure si va ogni tanto in una casa da gioco per divertirsi e, magari, guadagnare il denaro per offrire una cena agli amici, godendosi i complimenti e l'ammirazione degli invitati. Come vede, abbiamo già escluso tutti coloro che hanno una occupazione stabile nonché una famiglia (nel senso più tradizionale del termine).
Punto secondo. Per straordinario che sia il suo sistema di gioco, se non vuole tornare a casa dopo un mese o due, deve partire con un congruo capitale. Dico congruo perché qui il problema è soggettivo: per alcuni può essere rilevante ciò che per altri è solo discreto. In ogni caso c'è un'altra buona parte di gente che viene esclusa.
Punto terzo. Non si può protrarre la permanenza in un determinato Casinò per più di tanto. Diciamo venti-trenta giorni. Dopodiché è necessario cambiare aria, come si dice. Il che implica continui spostamenti, attraversamenti di confini nazionali, conoscenza delle lingue, degli usi e costumi; nessuna difficoltà a salti di orari e di alimentazione. Quest'ultimo è un argomento molto più serio di quanto non appaia. Gli italiani, per fare un esempio concreto, senza "pasta" vanno in crisi molto in fretta; quelli che ho visto resistere più a lungo sono arrivati ad un mese. Il record è intorno ai due mesi. E così, dobbiamo escludere anche tutti coloro che provano già un senso di insicurezza appena escono dal proprio quartiere.
A che punto siamo? Mi pare il quarto. L'elenco sarebbe ancora lungo ma mi fermerò a quest'ultimo. Il giocatore non è disposto psicologicamente ad accettare gli scarti negativi. Anche se sa, con assoluta certezza, che a gioco lungo tornerà in attivo, vive le fasi di gioco contrario in uno stato quotidiano e notturno di angoscia. Ma gli scarti negativi sono inevitabili, sono le stagioni del gioco. Una giornata nera può chiederci un terzo, un quarto del capitale. Seguono giornate di equilibrio poi, eccone un'altra negativa: il nostro capitale è ridotto alla metà. Passano i giorni, passano le settimane e non si vede la fine del tunnel. Quanto crede possa andare avanti un sistema nervoso normale? Una notte, nel dormiveglia, il nostro amico riconsidererà tutto l'insieme e si scoprirà a pensare che un buon impiego all'ufficio del Catasto forse è più soddisfacente. Ed ha perfettamente ragione: nel caso è meglio così. Se non altro perché il giorno che si accorgerà di soffrire ugualmente di ulcera avrà la consolazione di essere curato dal "suo" medico ed a carico del sistema sanitario del "suo" paese.
- Direi che possiamo senz'altro fermarci qui. Credo di avere inteso il concetto. Se mi consente mi sono lasciata per ultimo la domanda che ritengo più interessante di ogni altra. Come la mettiamo con il punto di vista scientifico?
- Già, mi chiedevo quando l'avrebbe fatta. Vede, i matematici, dal loro punto di vista, hanno perfettamente ragione. Se ci si limita a considerare che ad ogni boule, pardon sortita, tutte le combinazioni del gioco hanno sempre le stesse probabilità, stante la presenza permanente della "cagnotte" il discorso si esaurisce in poche battute. Al giocatore si deve negare ogni e qualsiasi speranza di successo. A dispetto del punto di vista scientifico, una ristretta minoranza di individui, con inclinazioni tendenti all'eresia, continua a giocare e continua a vincere. Mi piace porre in risalto il fatto che, senza polemica, senza discussioni, gli uni e gli altri restano della loro opinione e tutti sono felici.
- Insomma, secondo lei è la scienza ad avere torto. Mi sembra un po' forzato come concetto.
- Infatti. Le sembra soltanto. Ma non lo è. Vede, nessuno si sogna di dire che i matematici sbagliano i loro calcoli, sarebbe ridicolo. Ciò che diciamo è che sbagliano l'approccio al problema. Nella maggioranza dei casi si accostano a questo argomento con sufficienza, se non con boria. Per loro si tratta di dimostrare una tesi che altri prima di loro, e magari più famosi, hanno già definitivamente esaminato. Quando uno di loro affronta il problema con un atteggiamento opposto, costringe le case da gioco a modificare le regole del gioco. Lei lo sa che, oltre mezzo secolo fa, un celebre matematico francese il cui vero nome era Arnaud de Rivière pubblicò uno studio in cui dimostrava che si poteva vincere con assoluta certezza al "trente-quarante"? Ovviamente, lo fece al riparo di uno pseudonimo perché si vergognava di fronte ai suoi illustri colleghi.
- Confesso che la notizia mi è del tutto nuova. E mi sembra straordinaria. Come andò a finire?
- Finì che le case da gioco dovettero modificare le regole del "30/40". Intanto, utilizzando sei mazzi di carte invece di due. La stessa cosa che è capitata con il "Black Jack"...
- Come? Anche qui...
- Un altro matematico coraggioso, questa volta americano, ha affrontato il problema, dal punto di vista del giocatore, con risultati positivi. Il prof. Thorp, questo è il suo nome, ha pubblicato un poderoso trattato, corredato da decine di tabelle ove viene dimostrato scientificamente che si può vincere, e battere il banco, in quello che è uno dei più popolari giochi degli U.S.A. Il prof. Thorp ha fatto ancora di più: prima di pubblicizzare il suo lavoro ha voluto verificare la fondatezza delle sue teorie al tavolo da gioco. Si è recato a Las Vegas in compagnia di un amico: a turno ha visitato tutte le case da gioco ivi esistenti. Non perché avesse particolari esigenze difficili da soddisfare: più semplicemente perché, a turno, è stato cacciato da tutti i Casinò. Negli States i metodi sono gli stessi vigenti in Europa: solo che sono più spicci e diretti. Altro che ritenere "maniacale" l'anonimato: un giocatore professionista americano è ricorso alla plastica facciale per poter rimettere piede in una casa da gioco! Naturalmente il prof. Thorp ha trovato il modo, come dire, di fargliela pagare: ha pubblicato il suo bravo trattato, dal quale ha ricavato quanto non ha potuto guadagnare a Las Vegas. Adesso i Casinò americani se la devono vedere con una intera generazione di giovanotti intraprendenti che hanno imparato a memoria le tabelle del nostro professore. Devo dire che la cosa richiede capacità mnemoniche straordinarie, ma non impossibili. Ma anche in Europa, dove i Casinò hanno ridotto di molto il vantaggio dei giocatori utilizzando sei mazzi di carte, non è che si possa scherzare troppo: so di gente che è stata elegantemente allontanata per sempre dal Casinò di Monte-Carlo.
- Confesso di non saper eccepire alcunché: mi piacerebbe che fosse presente un mio conoscente, docente di matematica e fisica, per conoscere i suoi commenti a queste sue argomentazioni.
- Se si fida di quanto posso dirle, sulla base della mia esperienza , allargherebbe sconsolato le braccia confessando di non conoscere né i meccanismi del gioco (30/40 o ventuno che sia) né questi fantomatici studiosi che pare se ne siano occupati. Per avere una risposta certa deve proporre un quesito diretto ed ineluttabile: dal momento che il suo conoscente è anche docente di fisica provi a chiedergli se, a parere della scienza i calabroni possono volare. Non potendo dire che non conosce il problema le dirà, con un certo imbarazzo, che da un punto di vista scientifico il calabrone non potrebbe volare. Per fortuna il calabrone ignora il pensiero scientifico, così vola lo stesso e, cosa importante, lo fa senza sensi di colpa.
- Signor Maurer, credo proprio di aver terminato. C'è qualcosa che avrebbe voluto dire e non le ho chiesto?
- Ebbene, sì. Pensavo che mi avrebbe chiesto qualcosa circa i miei rapporti con il gestore di questo sito. Desidero sottolineare che è l'unica persona al mondo che poteva convincermi ad accettare di fare un'intervista. Ma ho accettato volentieri per l'amicizia autentica che si è venuta a costituire tra noi nel corso degli ultimi trent'anni. Ma anche perché ho potuto riscontrare, al di là del gentiluomo, una irripetibile passione che lo ha portato, credo anche con sacrifici, ad essere il maggior collezionista di opere ludografiche oggi esistente.
- Riferirò questa sera stessa. Bene, non mi resta che ringraziarla e complimentarmi per il suo italiano.
- Grazie a lei. Anche il suo non è male.