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Una storia di vita - Tirolo

Il Tirolo com'era - TRE POPOLI, UNA TERRA - Tedeschi, italiani, ladini: ognuno conservava la propria cultura, ma tutti sapevano vivere insieme ed in pace.  

DI JAKOB MAHLKNECHT

Era un mondo quieto e sereno, il vecchio Tirolo, tra Kufstein e Ala. Era 1'Heiliges Land Tirol, la terra benedetta dove tutti vivevano in pace, anche se parlavano tre lingue diverse - il tedesco, l'italiano e il ladino -, ed erano divisi in quattro classi sociali: i contadini, i borghesi, il clero, la nobiltà: in quel tempo - diciamo alla metà dell'Ottocento - solo il nascere nell'una o nell'altra classe faceva la differenza, immediatamente riconoscibile, a cominciare da come ci si vestiva.
Eppure non erano caste chiuse. Il mio bisnonno Jakob, per esempio, era il dodicesimo dei diciotto figli di un contadino, venuti al mondo in un maso della val di Tires. Secondo la legge del maso, che riservava i diritti di successione al primogenito, egli non avrebbe avuto alcun avvenire se fosse rimasto nella casa paterna.
Contadini tirolesi

Ma faceva bene a scuola, e i genitori lo avevano mantenuto agli studi fino alla laurea in Medicina, conseguita all'Università di Vienna. Ecco dunque che il figlio di un contadino diventa un professionista. Ma finirebbe in miseria se non prendesse in moglie - altro salto di classe - la figlia di un ricco oste di Caldaro. Jakob infatti è uno dei primi specializzati in ortopedia, ma non trova clienti perché a curare le fratture hanno sempre pensato i Bader, i barbieri cerusici e flebotomi, e i Bader gli fanno una guerra accanita. Se Jakob si fa strada lo stesso lo deve alla moglie, che gli regala un cavallo da corsa e un gig (il gig è un calessino leggero e velocissimo, come il sidky dei trottatori) con cui riuscirà a battere i concorrenti almeno in velocità, quanto basta per cominciare a farsi conoscere: e il resto verrà da sé, saranno i risultati a contare.
Quando nasce Franz Joseph, mio nonno, la famiglia è infatti più che decorosamente sistemata nella buona società di Bolzano. Franz Joseph però non farà il medico, ma il funzionario e poi il direttore delle Poste imperiali. Si diceva, in famiglia, che il nonno avesse fatto carriera anche perché la nonna, da Rovereto, mandava dei cestini di asparagi al Sovrintendente di Bolzano che ne era ghiottissimo: a Rovereto gli asparagi si trovavano, e a Bolzano erano merce rara.
Come direttore delle Poste, il nonno era una delle maggiori autorità cittadine: nelle feste civili e religiose portava l'uniforme di gala con la sciabola e la feluca, e sembrava un generale. Ma quando dalla sua vigna fuori città arrivava nel cortile del palazzo delle Poste la grande botte piena d'uva appena raccolta, allora era solo un buon padrone che faceva festa con tutti i suoi dipendenti, in gara per vendemmiare con lui e meritarsi il vino che generosamente avrebbe distribuito: in quel tempo esistevano le distanze, ma anche le occasioni di fraternità. Davanti al palazzo delle Poste, dove al nonno era riservato un lussuoso appartamento, abitava Max Valier. Pochi oggi sanno chi sia stato, anche se c'è ancora una lapide a ricordarlo, sulla casa di lui: eppure il grande Wernher von Braun lo ha sempre riconosciuto come il precursore della missilistica. Valier ha una storia straordinaria, da infant prodige. Ancora bambino, alle elementari, stupisce i maestri per il rigore e insieme la fantasia con cui si applica alla matematica. A 13 anni studia già fisica e in particolare l'ottica, attraverso la quale scopre quella che sembra la sua vocazione più profonda, per l'astronomia. Con l'aiuto di un professore del liceo dei Francescani si costruisce un telescopio, con cui si arrampica sulla cupola del palazzo delle Poste, insieme con il nonno Franz Joseph, per osservare il moto delle stelle: ma non si ferma, come lo scienziato puro, alla conoscenza della teoria; lui pretende la pratica, ripete che un giorno l'uomo arriverà sulla Luna e che per questo dovrà costruire un'astronave.
Si direbbe follia, siamo alla vigilia della prima guerra mondiale e soltanto pochi anni fa, nel 1903, l'ingegnere americano Wilbur Wright è riuscito per la prima volta nella storia a sollevarsi da terra con un mezzo più pesante dell'aria: un biplano di legno e di tela che pesa 338 chili, di cui 110 del solo motore da 16 cavalli. Da allora, la tecnica aeronautica ha fatto rapidi progressi, tanto che stanno per entrare in linea i primi apparecchi da combattimento. Eppure Max si rende già conto che l'elica non potrà bastare, e per questo studia la propulsione a razzo. Un suo aliante, spinto da una carica di fuochi d'artificio, attraversa il cielo di Innsbruck nel 1913, terrorizzando la città. La Polizia pensa a un attentato e lo arresta. Ma lui non si arrende, ci riprova, questa volta con una slitta a razzo su cui si sfracella, a più di 200 chilometri l'ora: per il nonno sarà un grande dolore.
Ed eccoci alla terza generazione, quella di mio padre Anton, quella travolta dalla Grande Guerra. Tempi tristi, per i tirolesi, tristi soprattutto perché da secoli le tre culture del Tirolo non si erano veramente integrate, ma avevano trovato il modo di convivere: nelle scuole tedesche si insegnava l'italiano, nelle scuole italiane si insegnava il tedesco, e delle tre comunità soltanto quella ladina faceva, forse, qualche fatica per affermarsi. Così mio padre, un professore che ogni giorno, al termine delle lezioni, canta l'inno all'Imperatore con i suoi allievi commossi, è richiamato come tenente dei Kniserjäger e ha il comando di una compagnia di tirolesi di lingua italiana: che lo adorano perché è un buon ufficiale e perché è sempre in polemica con il Comando della Sussistenza per farli mangiare come si deve in quantità e qualità.
Tuttavia il reparto è sospetto, e non viene schierato sul fronte italiano ma dislocato in una lontana provincia dell'Ungheria dove sta per scoppiare una rivolta Mio padre finisce così con i suoi soldati ai confini dell'Impero ma non ci saranno rivolte: la gente ha capito subito che da quei bravi ragazzi non avrà nulla da temere. Quando tutto finisce, la compagnia tirolese del tenente Anton Mahlknecht partirà a malincuore, lasciando dolci ricordi e, sembra, anche qualche bambino: argomento sul quale mia madre ha cercato per tutta la vita e con tutti i mezzi di avere maggiori informazioni da mio padre, ma devo dire che il mio vecchio non ha mai ceduto.
E poi sono arrivati gli italiani. Tutti conoscevano l'italiano e non solo al di qua delle Alpi, anche a Innsbruck si parlava italiano. Ma gli italiani non erano più quelli che nel Cinquecento facevano affari sulla Lauhengasse dalla parte dei numeri pari, mentre i tedeschi li facevano dalla parte dei numeri dispari, e se c'era qualche problema se lo risolvevano davanti a un loro tribunale, un anno col presidente italiano e due vicepresidenti tedeschi, un anno col presidente tedesco e due vicepresidenti italiani.
E ancora non erano quelli che l'eroe nazionale del Tirolo Andreas Hofer avrebbe chiamato meine Iieben Waffenbrüder, i miei amati compagni d'armi, perché combattevano insieme con lui e con gli altri tirolesi tedeschi e ladini contro il comune nemico, la Francia.
Questi erano molto diversi, erano soltanto burocrati alieni, che non avrebbero capito assolutamente nulla: ed è stato con loro che sono cominciati tutti i nostri guai.

Jakob Mahlknecht