| 
			 Ma faceva bene a scuola, e i genitori 
            lo avevano mantenuto agli studi fino alla laurea in Medicina, conseguita 
            all'Università di Vienna. Ecco dunque che il figlio di un contadino 
            diventa un professionista. Ma finirebbe in miseria se non prendesse 
            in moglie - altro salto di classe - la figlia di un ricco oste di 
            Caldaro. Jakob infatti è uno dei primi specializzati in ortopedia, 
            ma non trova clienti perché a curare le fratture hanno sempre 
            pensato i Bader, i barbieri cerusici e flebotomi, e i Bader gli fanno 
            una guerra accanita. Se Jakob si fa strada lo stesso lo deve alla 
            moglie, che gli regala un cavallo da corsa e un gig (il gig è 
            un calessino leggero e velocissimo, come il sidky dei trottatori) 
            con cui riuscirà a battere i concorrenti almeno in velocità, 
            quanto basta per cominciare a farsi conoscere: e il resto verrà 
            da sé, saranno i risultati a contare.  
                  Quando nasce Franz Joseph, mio nonno, la famiglia è infatti 
                  più che decorosamente sistemata nella buona società 
                  di Bolzano. Franz Joseph però non farà il medico, 
                  ma il funzionario e poi il direttore delle Poste imperiali. 
                  Si diceva, in famiglia, che il nonno avesse fatto carriera anche 
                  perché la nonna, da Rovereto, mandava dei cestini di 
                  asparagi al Sovrintendente di Bolzano che ne era ghiottissimo: 
                  a Rovereto gli asparagi si trovavano, e a Bolzano erano merce 
                  rara. 
            Come direttore delle Poste, il nonno era una delle maggiori autorità 
            cittadine: nelle feste civili e religiose portava l'uniforme di gala 
            con la sciabola e la feluca, e sembrava un generale. Ma quando dalla 
            sua vigna fuori città arrivava nel cortile del palazzo delle 
            Poste la grande botte piena d'uva appena raccolta, allora era solo 
            un buon padrone che faceva festa con tutti i suoi dipendenti, in gara 
            per vendemmiare con lui e meritarsi il vino che generosamente avrebbe 
            distribuito: in quel tempo esistevano le distanze, ma anche le occasioni 
            di fraternità. Davanti al palazzo delle Poste, dove al nonno 
            era riservato un lussuoso appartamento, abitava Max Valier. Pochi 
            oggi sanno chi sia stato, anche se c'è ancora una lapide a 
            ricordarlo, sulla casa di lui: eppure il grande Wernher von Braun 
            lo ha sempre riconosciuto come il precursore della missilistica. Valier 
            ha una storia straordinaria, da infant prodige. Ancora bambino, alle 
            elementari, stupisce i maestri per il rigore e insieme la fantasia 
            con cui si applica alla matematica. A 13 anni studia già fisica 
            e in particolare l'ottica, attraverso la quale scopre quella che sembra 
            la sua vocazione più profonda, per l'astronomia. Con l'aiuto 
            di un professore del liceo dei Francescani si costruisce un telescopio, 
            con cui si arrampica sulla cupola del palazzo delle Poste, insieme 
            con il nonno Franz Joseph, per osservare il moto delle stelle: ma 
            non si ferma, come lo scienziato puro, alla conoscenza della teoria; 
            lui pretende la pratica, ripete che un giorno l'uomo arriverà 
            sulla Luna e che per questo dovrà costruire un'astronave. 
            Si direbbe follia, siamo alla vigilia della prima guerra mondiale 
            e soltanto pochi anni fa, nel 1903, l'ingegnere americano Wilbur Wright 
            è riuscito per la prima volta nella storia a sollevarsi da 
            terra con un mezzo più pesante dell'aria: un biplano di legno 
            e di tela che pesa 338 chili, di cui 110 del solo motore da 16 cavalli. 
            Da allora, la tecnica aeronautica ha fatto rapidi progressi, tanto 
            che stanno per entrare in linea i primi apparecchi da combattimento. 
            Eppure Max si rende già conto che l'elica non potrà 
            bastare, e per questo studia la propulsione a razzo. Un suo aliante, 
            spinto da una carica di fuochi d'artificio, attraversa il cielo di 
            Innsbruck nel 1913, terrorizzando la città. La Polizia pensa 
            a un attentato e lo arresta. Ma lui non si arrende, ci riprova, questa 
            volta con una slitta a razzo su cui si sfracella, a più di 
            200 chilometri l'ora: per il nonno sarà un grande dolore. 
            Ed eccoci alla terza generazione, quella di mio padre Anton, quella 
            travolta dalla Grande Guerra. Tempi tristi, per i tirolesi, tristi 
            soprattutto perché da secoli le tre culture del Tirolo non 
            si erano veramente integrate, ma avevano trovato il modo di convivere: 
            nelle scuole tedesche si insegnava l'italiano, nelle scuole italiane 
            si insegnava il tedesco, e delle tre comunità soltanto quella 
            ladina faceva, forse, qualche fatica per affermarsi. Così mio 
            padre, un professore che ogni giorno, al termine delle lezioni, canta 
            l'inno all'Imperatore con i suoi allievi commossi, è richiamato 
            come tenente dei Kniserjäger e ha il comando di una compagnia 
            di tirolesi di lingua italiana: che lo adorano perché è 
            un buon ufficiale e perché è sempre in polemica con 
            il Comando della Sussistenza per farli mangiare come si deve in quantità 
            e qualità. 
            Tuttavia il reparto è sospetto, e non viene schierato sul fronte 
            italiano ma dislocato in una lontana provincia dell'Ungheria dove 
            sta per scoppiare una rivolta Mio padre finisce così con i 
            suoi soldati ai confini dell'Impero ma non ci saranno rivolte: la 
            gente ha capito subito che da quei bravi ragazzi non avrà nulla 
            da temere. Quando tutto finisce, la compagnia tirolese del tenente 
            Anton Mahlknecht partirà a malincuore, lasciando dolci ricordi 
            e, sembra, anche qualche bambino: argomento sul quale mia madre ha 
            cercato per tutta la vita e con tutti i mezzi di avere maggiori informazioni 
            da mio padre, ma devo dire che il mio vecchio non ha mai ceduto. 
            E poi sono arrivati gli italiani. Tutti conoscevano l'italiano e non 
            solo al di qua delle Alpi, anche a Innsbruck si parlava italiano. 
            Ma gli italiani non erano più quelli che nel Cinquecento facevano 
            affari sulla Lauhengasse dalla parte dei numeri pari, mentre i tedeschi 
            li facevano dalla parte dei numeri dispari, e se c'era qualche problema 
            se lo risolvevano davanti a un loro tribunale, un anno col presidente 
            italiano e due vicepresidenti tedeschi, un anno col presidente tedesco 
            e due vicepresidenti italiani. 
            E ancora non erano quelli che l'eroe nazionale del Tirolo Andreas 
            Hofer avrebbe chiamato meine Iieben Waffenbrüder, i miei amati 
            compagni d'armi, perché combattevano insieme con lui e con 
            gli altri tirolesi tedeschi e ladini contro il comune nemico, la Francia. 
            Questi erano molto diversi, erano soltanto burocrati alieni, che non 
            avrebbero capito assolutamente nulla: ed è stato con loro che 
            sono cominciati tutti i nostri guai.  
             
            Jakob Mahlknecht   
			 |