Roulette - La gloriosa "fabbrica" - Roulette Amica

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Roulette - La gloriosa "fabbrica"

Montecarlo 1

LA “FABBRICA”

La “fabbrica” oggi ha 145 anni (1863-2008). La storia del più celebre casinò del mondo si presta mirabilmente ad essere scritta e romanzata, tanto è stata densa di fascino e di avvenimenti da leggenda. La casa da gioco, durante tutti questi anni, ha ispirato centinaia di libri, di racconti, di cronache giornalistiche, di pellicole cinematografiche. È pertanto arduo il mio tentativo di restringere, in poche pagine, la sua storia, dalla nascita ad oggi. Inizierò con un’affermazione-conclusione: Montecarlo è stato, senza il minimo dubbio, il più affascinante casinò del mondo, dove tutti i giocatori dovrebbero andare almeno una volta, così come i musulmani vanno una volta nella vita alla Mecca. “Una sezione terrestre del Paradiso”, lo definì Leopoldo II del Belgio.È stato da molti affermato che il casinò di Montecarlo sta al Principato di Monaco come la Basilica di San Pietro sta a Roma, o come la Tour Eiffel sta a Parigi, o come il Partenone ad Atene.  Ogni giocatore, di diversa nazionalità, può trovarvi il proprio accostamento. Da parte mia aggiungo che visitare Montecarlo e non avvicinarsi, almeno per una volta, a Sua Maestà la Roulette è come andare a Venezia e non vedere Piazza San Marco.

LA NASCITA DELL'IDEA-CASINO'
Nel 1852 il Principato di Monaco era talmente povero che, malgrado le tasse molto pesanti (e tra queste un’orribile tassa sul pane), i suoi abitanti non arrivavano nemmeno a sostenere le spese della residenza del loro Principe Carlo III. Il suo castello era malandato e tutta la principesca dimora era ridotta a sole tre camere abitabili e ad una modesta sala per le udienze, in cui si aggiravano in divise sdrucite soltanto sei persone che costituivano l’intera servitù. È in queste condizioni che Carlo III, già praticamente cieco, ricercava nella sua mente un’idea, una soluzione per risollevare le sorti del suo piccolo stato. Continuando a passare in rassegna le sue forze e le sue debolezze, concluse che, quanto alle seconde, ne aveva molte. La forza era invece una sola, ma preziosa e sfruttabile: l’indipendenza del suo Principato. Da qui nacque l’idea: dato che le case da gioco erano proibite in Francia, perché non aprirne una a Monaco? Perché non copiare la strategia del Granduca tedesco che a Baden-Baden aveva aperto una fabbrica dalle uova d’oro? L’idea era indubbiamente vincente ma conteneva un errore di partenza che andava ben valutato: chi avrebbe lasciato l’incanto di Baden-Baden, della sua Maison de Conversation, i suoi parchi, le sue terme, il suo adorabile clima estivo per affrontare un faticoso viaggio verso il roccioso paese dei Grimaldi dove non esistevano strutture di accoglienza e neppure un albergo?


LA MESSA IN MARCIA
Malgrado questa realtà, Carlo III, testardo come tutti i Grimaldi, non rinunciò al suo progetto e, nel 1856, concesse a due francesi, Albert Aubert e Leon Langlois, l’autorizzazione di far girare per la prima volta una roulette nella villa Bellevue, unica costruzione di un certo decoro nel Principato. Il contratto prevedeva un monopolio per 35 anni, l’impegno ad aprire un teatro, un ristorante, un albergo e l’istituzione di un regolare servizio di vaporetti tra Nizza e Monaco, oltre, naturalmente, alla costruzione di un vero casinò. Il 25% dei profitti sarebbe stato appannaggio del Principe. Ma se il contratto costituiva una pietra miliare, impossibile era onorare agevolmente tutti quegli impegni. A parte che i fondi erano limitati, non si era tenuto nel debito conto che mancava la materia prima, cioè i giocatori. Per arrivare a Monaco esistevano solo due collegamenti: quello via terra, tramite diligenza, e quello via mare, da Genova o da Nizza. Il viaggio terrestre era molto faticoso: strada tortuosa, pericoli dovuti al brigantaggio molto sviluppato nella zona, costo del viaggio eccessivo (50 franchi a persona in una diligenza capace di undici persone). Per mare tutto era affidato al tempo, alle onde e… al tasso alcolico dei comandanti!
In queste condizioni i documenti contabili riportano che in una settimana della primavera del 1857 entrò al casinò un solo cliente che vinse 2 franchi e nella settimana successiva altri due che vinsero 108 franchi. Fu così che si verificò il primo disastro e si giunse alla precoce chiusura. La seconda gestione fu affidata ad un certo Frossard, il quale trasferì la roulette in una casa della città vecchia. All’apertura seguì, poco dopo, la chiusura, sempre per la stessa ragione della precedente. Il terzo tentativo lo fece un certo Monsieur Duval che installò la roulette in nuovi e lussuosi locali situati sulla stessa piazza del palazzo del Principe. L’inaugura-zione fu particolarmente fastosa. Parteciparono al banchetto centocinquanta invitati e Carlo III al momento del brindisi pronunciò un discorso. Infine i camerieri liberarono le tavole e sotto le tovaglie comparvero i panni verdi. Eppure, malgrado questo inizio scenico e spumeggiante, gli affari non decollarono e la casa da gioco, per la quarta volta, passò nelle mani di un nuovo proprietario, la Società Lefebvre. Correva l’anno 1860 e Carlo III comprese che per avere successo erano necessari investimenti forti e mirati. Nel nuovo contratto, tra le altre clausole, fu concordata la costruzione di un casinò in un luogo, detto “Les Spelugues” dove c’era sì la discarica comunale, ma da dove si poteva ammirare uno splendido panorama sul mare e sui monti. Una boccata di ossigeno, dal punto di vista finanziario, il Principe la ottenne dal trattato di Torino del 1861, secondo il quale, in cambio della cessione alla Francia di Mentone e Roquebrune, venivano versati nelle sue povere casse ben tre milioni di franchi e, soprattutto, l’impegno dello Stato francese a costruire una strada ed una ferrovia che congiungessero tra loro Monaco e Nizza. Era la fine dell’isolamento! Ma i fondi per il progetto casinò sulla sommità della roccia che da Spelugues fu ribattezzata dal Principe in Montecarlo, in omaggio a se stesso, cominciarono a scarseggiare ben presto. Fu allora che a Carlo III venne l’idea, definitivamente vincente, di contattare François Blanc, gestore del casinò di Bad-Homburg.

ARRIVA L'UOMO DELLA PROVVIDENZA
A quel punto François Blanc aveva 57 anni e da tempo, da buon francese, sognava di ritornare in patria per realizzare la sua ultima grande impresa. Fu questo sogno, a mio avviso, più di ogni altra considerazione finanziaria, a spingerlo a prendere contatto con il Principe di Monaco e con i gestori del casinò, Valmy e Lefebvre. Questi ultimi chiesero a Blanc un milione e ottocentosessantamila franchi per privarsi della concessione del gioco a Montecarlo. Nel mentre avvenivano i primi “pour parler”; Sua Maestà la Roulette iniziò a girare nel nuovo casinò di Spelugues, in una provvisoria sala giochi, il 3 aprile 1863. Per la storia, al primo colpo la pallina si fermò sul 24, noir, pair e passe. Non era ancora passato un mese da questo avvenimento, cioè si era alla fine di aprile, che Blanc gettò sul tavolo 1.129.000 franchi in contanti, prendere o lasciare, che Valmy e Lefebvre presero in tutta fretta. François Blanc dunque fu la quinta persona ad ottenere dai Grimaldi la concessione dei giochi d’azzardo. Il suo primo atto fu quello di scrivere lo statuto della Società des Bains de Mer (denominata SBM), anche se a Montecarlo non c’era la spiaggia. Il capitale di 15 milioni fu suddiviso in 30.000 azioni da 500 franchi l’una, di cui 18.000 a François Blanc, 4000 alla moglie, attraverso un prestanome, e il resto, 8000 franchi, sul mercato.
Come secondo atto fondò “Le cercle del étrangers”, il circolo degli stranieri, dato che nessun cittadino di Monaco aveva il diritto di giocare al casinò. Per ciò che concerne le condizioni, il Principe concedeva a Blanc l’assoluto monopolio del gioco d’azzar-do e la proprietà del casinò per un periodo di 50 anni. In cambio Blanc si impegnava a versare al Principe una somma annuale e progressiva calcolata sui profitti, a far stampare a proprie spese il “Journal de Monaco”, a portare a termine la strada che da Nizza conduceva a Monaco, a costruire nuove strade in città, provvedendo alla loro manutenzione, all’estensione dell’illuminazione (120 lampioni ad olio erano previsti per la sola piazza del casinò), alla raccolta dei rifiuti, alla realizzazione di un apparato per la sicurezza e infine alle sovvenzioni alla Chiesa cattolica (non era ammessa la libertà di culto) con grande gaudio dei Gesuiti.
Tutto ciò veniva a costare caro, molto caro, ma François  Blanc con questi accordi si era “comprato”:

- il Principe, che finalmente poteva contare su un sicuro, consistente, appannaggio;

- la municipalità e la popolazione cui venivano assicurati opere e servizi essenziali;

- la stampa, dato che il suo “Journal de Monaco” avrebbe fatto da cassa di risonanza sia per la casa da gioco che per le speculazioni immobiliari;

- i preti, che assieme al monopolio del culto cattolico avrebbero riscosso consistenti donazioni in denaro.

Fu con queste prime, geniali, mosse che Blanc, il genio della finanza, o il flagello dell’umanità, come diversamente venne definito da ammiratori ed avversari, si mise al lavoro per lanciare il suo casinò e farlo entrare nella storia.
Individuò subito il punto più debole del suo progetto: la logistica. Tutti i suoi sforzi ed investimenti si orientarono in questo senso, e precisamente:

- istituì un servizio regolare di battelli a vapore tra Nizza e Monaco;

- acquistò un piroscafo capace di 300 persone che chiamò “Charles  III” in onore del Principe;

- acquistò 50 diligenze a cavalli per il trasporto di visitatori da Cannes e da Nizza;

- iniziò i lavori per la costruzione di un Hotel che doveva diventare il più lussuoso d’Europa (l’Hotel de Paris);

- accelerò i lavori della ferrovia che nell’ottobre del 1868 arrivò a Monaco.

Il miglioramento dei trasporti e dei servizi portò ad un forte incremento di visitatori. I numeri: 140.000 nel 1871, 160.000 nel 1872, fino ad arrivare a 200.000 nel 1873, anno in cui chiuse il casinò di Bad-Homburg e Montecarlo restò il solo casinò d’Europa, assieme, ma per breve tempo, a Saxon-les-bains, in Svizzera.
Il successo fu totale. Gli investimenti in terreni e in abitazioni aumentarono con la stessa progressione dei profitti del casinò che erano talmente alti da permettere, a partire dal 1869, l’abolizione di tutte le imposte nel Principato di Monaco. Circa l’organizzazione del casinò, le cui regole e persino la cui fraseologia, costituiscono ancora oggi le basi fondamentali dei casinò moderni, François Blanc ne fu l’inventore e l’iniziatore. Tutto ciò, nel presente libro, viene raccontato e rivissuto nelle diverse sezioni che trattano ora questo ora quell’argomento riguardante il gioco.
Purtroppo il lavoro di quell’insuperabile manager che fu Blanc incise sulla sua già precaria salute e contribuì, con ogni probabilità, ad avvicinarlo alla morte, che avvenne nella sua stazione termale favorita, in Svizzera, Loëche-les-bains, il 27 luglio 1877, all’età di 71 anni.
L’erede fu la moglie Marie, che al momento del decesso del consorte aveva 47 anni. Molto intelligentemente, anziché limitarsi a gestire un affare che andava a gonfie vele, giudicò che fosse il momento di arricchire ancor più la scena. Volle un teatro all’interno del casinò e convinse Charles Garnier, architetto dell’Opera di Parigi, ad edificarlo. Marie in questo progetto si giocò tutto il suo capitale, ma vinse.
Il 25 gennaio 1879 tutto il bel mondo assistette all’inaugurazione, protagonista Sarah Bernhardt. Un grande trionfo che continuò con ulteriori investimenti in ville, negozi, giardini per rendere sempre più desiderabile il soggiorno a Montecarlo e la sua casa da gioco. La “grande dame” morì il 25 luglio del 1881. Suoi eredi furono il figlio Edmond, perfetto gentiluomo, amante di yacht, cavalli e belle ragazze molto più di quanto non lo fosse degli affari, e Camille il figlio del primo matrimonio di Blanc, anche lui uomo di mondo ma più incline ad interessarsi allo sviluppo della SBM. Ad entrambi i fratelli comunque sembrò, almeno all’inizio, non interessare troppo la responsabilità caduta sulle loro spalle, tanto che Edmond, azionista di maggioranza, rinunciò a qualsiasi incarico diretto nominando direttore generale un certo Dupressoir, tipico controllore finanziario. Negli anni seguenti si succedono tentativi da parte di banche e di grande investitori per acquisire la maggioranza della società; tentativi che furono portati avanti con ogni mezzo ed ogni intrigo pur di riuscire. Il boccone era giudicato da molti troppo ghiotto per lasciarselo sfuggire. E i giocatori? Continuavano ad arrivare sempre più numerosi. Le feste? Sempre più lussuose e sfarzose, come ai tempi di Caterina de’ Medici a Firenze. L’af-flusso divenne tale che si rese necessario costruire nuove sale da gioco. Siamo nel 1891; il nuovo Principe Albert, figlio di Carlo III, rivela uno spirito scientifico, si occupa di ricerche oceanografiche e non si interessa alle vicende del casinò. Desidera, per questo, solo avere un valido interlocutore e non i soliti funzionari.
Nel 1895 entra in scena, come presidente della SBM, Camille Blanc; ha 48 anni, è un uomo moderno e attento alle innovazioni. Si rivelerà ancora più intelligente ed astuto del padre. Comprende subito che la belle époque ormai alle porte sarà l’epoca del piacere ed intuisce che bisogna offrire al cliente e al visitatore un mondo da favola.
Arrivano tutti, teste coronate, nobili, ricchi borghesi e tante cortigiane, famose, splendide nei loro vestiti, nelle loro pellicce e con le loro collane di perle e di diamanti. Spogliarne una era un’impresa assai costosa, era come comprare una casa. C’erano tutti gli ingredienti: amore, gelosia, suicidi e soprattutto champagne, tanto champagne. È per accrescere e compiacere questo mondo che Camille Blanc continua ad investire capitali, perché sa che la gente ricca deve affluire al casinò, deve giocare, occupare gli alberghi, comprare terreni e ville. Camille è un manager completo poiché alla finanza unisce un marketing innovativo che non ha eguali. Inventa attività promozionali a getto continuo che interessano e fanno accorrere gente da tutto il mondo. Ecco un elenco delle sue invenzioni:

- Coppa del Principe; il Torneo di tennis;

- Primo concorso di eleganza;

- Rally di Montecarlo;

- Concorso per la reginetta di bellezza;

- Concorso per il cane più bello;

- Concorso per l’ombrello più bello

- Corsa ciclistica;

- Torneo di boxe;

- Regate di vela;

- Torneo di golf;

- Le Terme di Valentino (con idromassaggio, etc.)

Ma con l’inizio della prima guerra mondiale il casinò di Montecarlo, più che assolvere alla propria consueta funzione, divenne sede dello spionaggio e di intrighi internazionali.
Alla fine della guerra cambia la clientela: non ci sono più i tedeschi, causa il deprezzamento del marco, né i russi. Arrivano invece gli italiani, gli spagnoli, gli inglesi e gli americani.
Al Principe Albert manca il denaro: il casinò, durante la guerra, ha dato pochi profitti. C’è ancora al timone Camille Blanc che possedeva sì una grossa fortuna personale, ma in questo periodo si interessava di più alle belle ragazze che alla prosperità del casinò. Il Principe chiese allora un prestito ad uno degli uomini più ricchi di quel tempo, Basil Zaharoff, di origine greca e di professione fabbricante di cannoni, che glielo concesse in ragione di un milione di sterline, iniziando però a comperare, attraverso prestanome, azioni della SBM. Il suo scopo era quello di arrivare al possesso del pacchetto di maggioranza della società.
Camille Blanc si ammalò e non fu più in grado di assicurare il suo predominio. Di conseguenza venne nominato gestore e poi amministratore delegato Renè Leon. Da questo momento visitatori e giocatori dovettero iniziare a pagare l’entrata per la prima volta nella storia del casinò. “Se la gente vuole assolutamente perdere del denaro, dice Zaharoff, bisogna che paghi per farlo”. Fu anche abolito il viatico a coloro che ne usufruivano e scomparvero le “consulenze” ai grandi giocatori che avevano perso ogni loro avere.
In rapporto alle sue immense ricchezze, il casinò per Zaharoff era un nulla. Lo scopo per cui stava lavorando e accumulando potenza economica da una vita era quello di offrire alla sua adorata donna e sposa il trono del Principato, occupato in quel momento da Louis, figlio di Albert. Alla morte della moglie Zaharoff smise di interessarsi tanto al trono quanto al casinò. Le sue azioni vennero vendute (tre volte più care) alla banca Dreyfus. Dalla seconda metà degli anni Venti iniziano gli anni più duri per il casinò di Montecarlo. La gente accorre in Riviera attratta dal sole e soprattutto dal mare: i casinò di Nizza, Cannes, Juan-les-Pins, Saint-Raphael sfruttano questa tendenza e così pure il casinò di Deauville attrae sulle sue planches una interessante clientela inglese. Altri colpi vengono inferti dagli avvenimenti politici: la Francia, nel 1926, legalizza il gioco d’azzardo  e nel 1928 si rivela anche molto efficace la concorrenza del casinò di Sanremo, voluto da Mussolini per contrastare l’esportazione di valuta italiana verso Montecarlo.
Passata la crisi economica del 1929 ritornano però gli anni folli: il denaro riprende a scorrere a fiumi, la gente ricomincia a far follie e vuole divertirsi sempre più. Però la concorrenza a Montecarlo è così agguerrita ed insidiosa che il Principe arriva al punto di ingaggiare la costosa giornalista americana, Elsa Maxwell, per riportare il casinò ai fasti della belle époque.
La Maxwell lavora molto bene e con iniziative azzeccate riporta il bel mondo a Montecarlo. I profitti ritornano interessanti sino a che, nel 1939, l’Europa non ripiomba nel buio della seconda guerra mondiale. Il casinò assolve ancora una volta il suo compito di sede di spionaggio. Ha la fortuna di essere tutelato e salvato dal generale comandante tedesco Von Kohlermann della Gestapo da ogni attacco e dalla decisione, venuta da Berlino, di smontare la cupola del casinò perché in rame, materiale molto utile in quel momento nel campo dell’industria bellica. Ironia della sorte: i tedeschi lo salvarono ma il vero pericolo che corse il casinò fu per un bombardamento “amico”, effettuato dalle truppe alleate anglo-americane che occuparono poi Montecarlo il 3 settembre del 1944.
Dalla fine della seconda guerra mondiale e per più di cinque anni, le perdite della SBM furono rovinose, con passivi annuali intorno ai 200 milioni di franchi.


OCCORRE CAMBIARE POLITICA
Ed è ciò che fa il Principe Ranieri III che inizia a governare nel 1949. Ha molte idee per la testa allo scopo di risollevare le sorti del Principato, e una di queste in particolare non comprendeva il casinò. Per questa ragione fu molto debole l’opposizione all’entrata in scena di un piccolo uomo greco, Aristotele Socrate Onassis, che desiderava acquisire la maggioranza nella SBM. Ranieri lo lasciò fare e già nel 1953 Onassis divenne padrone di tutte le attività della SBM, anche se il Principe si riservava sempre il diritto di veto sulle imprese e il gradimento da parte del governo in merito all’attività del casinò. In realtà Ranieri si voleva affrancare dal titolo con cui era conosciuto in Europa, dai francobolli e dai souvenirs, ovvero “Principe della roulette”. Voleva staccarsi progressivamente dalla dipendenza finanziaria del casinò che, in certi anni, era giunta alla vetta del    70 % degli introiti nelle casse dello stato. E mentre Aristotele Onassis, con il talento naturale che aveva per gli affari, faceva ritornare al casinò di Montecarlo tutta la gente che contava, Ranieri iniziò la messa in atto della sua strategia di diversificazione. Il suoi colpi vincenti: arriva la televisione ed il Principe ne afferra subito l’importanza come veicolo di diffusione commerciale e fonda la prima società del settore. Comprende che a Monaco ogni metro di terreno deve essere sfruttato in altezza e che, in regime di mercato comune e in assenza di imposte, può attrarre ancor più capitali ed imprese. Sembra per il momento non interessarsi al matrimonio ma a Cannes incontra l’attrice americana Grace Kelly e se ne innamora.
Il favoloso matrimonio dell’Aprile 1956 attira altri ricchi americani che si aggiungono a quelli, ormai abituali, di Aristotele Onassis. Ranieri continua per lunghi anni a realizzare i suoi obiettivi di crescita con la testardaggine tipica dei Grimaldi e a snobbare il casinò che attraversa un periodo difficile. Sono scomparsi i giocatori tradizionali e, quando per gli italiani comincia il periodo di Tangentopoli, hanno paura anche a mostrarsi coloro che non avrebbero motivo di temere. Appare chiaro che Ranieri, nella seconda metà del Novecento, si è impegnato soprattutto a rifarsi una verginità e a liberarsi del suo ruolo di biscazziere. Non c’è più posto per il maneggio del denaro, per il riciclaggio, per i cambisti, per le puttanelle. La sua Montecarlo è quella compresa nel territorio di 180 ettari diventato il più famoso e il più caro del mondo, dove i residenti non pagano un soldo di imposte, dove i servizi sono efficienti ed è possibile condurre una vita serena nella sicurezza pressoché completa tra palme ed oleandri, in una primavera perpetua.
A ricordare il passato ci pensa ormai solo il castello, insieme ai soldati in uniforme e ai quattro cannoni del 1600.
Il Principe Ranieri è riuscito nel suo intento: le entrate relative al casinò sono scese dal 70%  di un secolo prima ad un misero 4%. La piena rispettabilità è raggiunta.
Sul casinò di Montecarlo sono stati scritti libri a centinaia. La mia ha voluto essere una breve e semplice storia di questa “fabbrica”, nel suo genere la più celebre del mondo, dove continua a girare Sua Maestà la Roulette che, ne sono certo, attende nella sua solennità ma con una certa impazienza, di vedere cosa le riserveranno gli anni futuri
Dietro la realizzazione di una grande impresa, quale fu appunto la creazione del più celebre casinò del mondo, necessariamente c’è sempre un grande uomo.
Questo fu François Blanc
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Per approfondimenti su questo argomento consulta il sito
http://www.casinomontecarlo.com/


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