Cenni
di storia Europea
Contenuto
del sito Gli
Stati italiani indipendenti: Venezia e ducato di Savoia.
<<... I Francesi sgomberarono, oltre al Piemonte, la Lombardia,
di cui prese possesso l'imperatore Carlo VI d'Asburgo, comprendendo
tra i suoi nuovi possessi anche il ducato di Mantova (1707). Contemporaneamente
forze imperiali, con l'appoggio di naviglio inglese, occupavano il
Napoletano, lo Stato dei Presidi e la Sardegna (1707-1708).
I trattati di Utrecht (11 aprile 1713) e di Rastatt (6 marzo 1714)
modificarono la carta d'Europa, in base a un nuovo principio d'equilibrio
dettato dall'Inghilterra, e posero l'Italia sotto l'egemonia austriaca:
Carlo VI ebbe il Milanese, il Mantovano, lo Stato dei Presidi, i regni
di Napoli e di Sardegna, il marchesato di Finale; Vittorio Amedeo
II, per volontà dell'Inghilterra, la Sicilia col titolo di re, il
basso Monferrato, Alessandria, la Lomellina e la Valsesia, già appartenenti
al Milanese, e le valli di Casteldelfino, Fenestrelle e Oulx, cedutegli
dalla Francia in cambio di Barcelonnette; il duca di Modena, la Mirandola;
Vincenzo Gonzaga, del ramo di Guastalla, unì al suo minuscolo ducato
i principati di Sabbioneta e di Bozzolo. Gli altri Stati italiani
non subirono mutamenti territoriali, ma dovettero rivedere la loro
politica in funzione della nuova egemonia, e dipendere da Vienna anziché
da Madrid o da Parigi.>>
Contenuto del sito Il
predominio austriaco - Avvenimenti politici e militari in Italia dal
1713 al 1748.
<<... Con la pace di Utrecht l'Austria aveva sostituito la Spagna
quale potenza dominante in Italia, assicurandosi il Milanese, la Sardegna,
il Napoletano e lo Stato dei Presidi, mentre Vittorio Amedeo II di Savoia,
che aveva mirato alla conquista del Milanese, dovette accontentarsi
del Monferrato e della Sicilia col titolo di re...>>
Contenuto del sito Stati
italiani indipendenti: papato, Toscana, ducati padani.
<<... Clemente XI Albani (1700-1721) si trovò coinvolto
nella guerra di Successione spagnola, che determinò il crollo
della dominazione spagnola in Italia, non risparmiò i domini
della Chiesa e modificò radicalmente la situazione politica
della penisola, senza che il papato potesse esercitare alcuna influenza
sul corso degli avvenimenti: segno della generale decadenza della
sua potestà temporale, sempre più intransigentemente
negata dai sovrani nazionali, sorretti dalle nuove dottrine giurisdizionalistiche
o regalistiche...>>
1683
I
TURCHI A VIENNA
VIENNA: TOCCATA E FUGA
DEI TURCHI
Imperiali, polacchi, bavaresi e sassoni guidati dal re di Polonia sorpresero e sconfissero gli Ottomani
dopo due mesi d'assedio. Alla prova del fuoco il principe Eugenio di Savoia.
Data:
12 settembre 1683
Luogo: VIENNA
Eserciti: TURCO e COALIZIONE AUSTRIACA
Contesto: Conquiste Musulmane
Protagonisti:
Kara Mustafà (Gran
vizir turco)
Leopoldo I (Austria)
Carlo di Lorena (Austria)
Ernst Stahrenberger, (comandante dell'esercito
austriaco)
Giovanni III Sobieski con 25.000 polacchi
Massimiliano Emanuele con 11.000 bavaresi
Principe
EUGENIO Maurizio
di Savoia Carignano
(VEDI
BIOGRAFIA A PARTE)
<<...Essendo
italiano d'origine, ma apolide per vocazione, non sapeva egli stesso
come considerarsi; si firmava perciò con un miscuglio di italiano-francese-tedesco
come Eugenio von Savoy...>
"I nostri avi cavalcavano
su queste strade che noi oggi spazziamo" - diceva la didascalia di una
delle foto degli emigrati turchi, esposte nel 1983 nella mostra "I Turchi
davanti a Vienna", al Museo del XX Secolo. E aggiungeva, con rara consapevolezza:
"La colpa è nostra, non degli austriaci".
La mostra dei fotografi e dei pittori turchi era stata solo una delle
molte esposizioni, degli spettacoli e dei concerti con i quali Vienna
aveva celebrato il suo "Anno dei Turchi", nel terzo centenario dell'assedio
e della battaglia finale (12 settembre 1683).
La
battaglia
Alla fine del Seicento, l'Austria era alle corde.
Leopoldo primo, sacro romano imperatore di un impero spopolato e dissanguato
dalla guerra dei trent'anni, era anche sovrano diretto di territori
sottoposti alla duplice minaccia dell'espansionismo di Luigi XIV e
dell'invasione turca. Di contro, l'impero turco dominava il Mediterraneo
dopo aver conquistato Candia ai Veneziani con una guerra ventennale,
finita nel 1669; e a nord si estendeva fino all'Ungheria, che nel
1526 era stata divisa fra gli Asburgo e il Sultano cui toccò anche
Buda.
Già vent'anni prima, nel 1663, i Turchi avevano invaso l'Ungheria
asburgica, approfittando di un'insurrezione della nobiltà ungherese,
finanziata da Luigi XIV, e avevano cominciato la marcia su Vienna:
ma erano stati sconfitti da Raimondo Montecuccoli a San Gottardo sul
Raab. Nel 1678 i nobili ungheresi insorsero nuovamente contro l'imperatore.
Mustafà IV, il sultano che da pochi anni aveva debellato i Veneziani
a Candia, poteva nuovamente pensare all'Europa centrale come a una
terra di conquista, della quale Vienna era la porta.
Per la conquista di Vienna, il sultano delegò il comando militare
al gran vizir Kara Mustafà che, nel maggio 1683, radunò le truppe
musulmane nella pianura di Belgrado: duecentomila uomini che si muovono
verso l'Austria avendo all'avanguardia i Tartari e facendosi seguire
dagli harem, dagli arredi per le tende dei generali, dalle salmerie
con le provviste e migliaia di animali. Ci vogliono due mesi per arrivare
davanti a Vienna: due mesi terribili, durante i quali l'Austria è
messa a ferro e fuoco, soprattutto dai tartari che confermano la loro
fama sanguinaria. Gli austriaci si vendicano appena possono: quando
gli assediati riescono a fare prigionieri, o li spellano vivi, come
i Turchi avevano insegnato a Candia, o li decapitavano per buttare
le teste sugli altri assalitori.
L'imperatore Leopoldo aveva lasciato Vienna poco prima dell'arrivo
dei Turchi, per organizzare la lega dei soccorsi. Nella capitale erano
rimasti pochi abitanti, ma vi si erano rifugiati molti contadini:
in tutto circa 70 mila civili, con dieci o undicimila soldati, comandati
dal conte Ernst Stahrenberger, ai quali nella difesa si aggiunsero
studenti e cittadini. Fra questi, sono rimasti celebri il borgomastro
Liebenberg e l'architetto Georg Rimpler, reduce dalla guerra di Candia,
che a Vienna, durante l'assedio, fu il sovrintendente delle fortificazioni.
Dall'altra parte, nel suo padiglione, circondato da fontane e giochi
d'acqua, al centro di un'immensa città militare di venticinquemila
tende, situata fra il Wienfluss e l'Alserbach, Kara Mustafà compie
due errori fatali. Il primo errore fu di non forzare l'assedio, nonostante
l'enorme disparità di forze: il gran vizir decide un assedio di logoramento,
contando di prendere la città per fame e di trovarne intatte le ricchezze.
Fa dirigere un certo numero di attacchi contro il Burgbastion e il
Loebelbastion, che sorgono su un terreno asciutto, dove è possibile
la posa delle mine, secondo la tecnica già sperimentata con successo
a Candia. Ma conta di più sulla dissenteria e sulle altre malattie
che presto cominciano a decimare la popolazione e la guarnigione di
Vienna.
Ma da Passau, intanto, l'imperatore Leopoldo, sostenuto dal papa Innocenzo
XI, riesce a stringere un'alleanza con alcuni principi cristiani,
che in settembre arrivano in Austria: Carlo di Lorena con l'esercito
imperiale di ventunmila soldati, Giovanni III Sobieski con venticinquemila
polacchi, il principe elettore Massimiliano Emanuele con undicimila
bavaresi, ai quali si aggiunge anche un piccolo esercito sassone:
in tutto circa settantamila soldati che, dopo una lunga trattativa,
vengono messi sotto il comando unico del re di Polonia.
L'esercito cristiano comandato da Giovanni Sobieski arriva così nelle
vicinanze di Vienna, mentre sta per scadere il secondo mese dell'assedio,
sempre più duro. Qui si rivela, il secondo, decisivo errore di Kara
Mustafà: aver trascurato di occupare le colline del Wienerwald a nord
di Vienna. A Klosterneuburg e a Kahlenberg, due colli a dieci-dodici
chilometri dalla capitale, si raduna l'esercito di soccorso. A Klosterneuburg
c'è un'antica abbazia degli Agostiniani, a Kahlenberg una piccola
cappella: in quest'ultima, la mattina dell'11 settembre, viene celebrata
una messa alla quale il re polacco partecipa come chierico.
Nella notte fra l'11 e il 12 settembre le truppe cristiane scendono
le colline sorprendendo i Turchi, tanto più numerosi: la battaglia
dura dodici ore, fino alle cinque pomeridiane del 12 e, grazie anche
ad una manovra diversiva compiuta da Carlo di Lorena, finisce con
la disfatta totale dei Turchi. L'armata sconfitta, nella fuga precipitosa,
lascia nelle mani degli imperiali le tende, gli harem, le bandiere,
moltissime armi, tonnellate di rifornimenti e migliaia di bufali,
buoi, cammelli, muli e pecore.
Il sigillo d'oro di Kara Mustafà e altri millecinquecento oggetti
provenienti dal bottino, sono ora esposti allo Historische Museum
e alla Kunstlerhaus; le armi conquistate sono in mostra allo Heeresgeschilichtliches
Museum. Quanto al comandante in capo dei Turchi, va detto che durante
la ritirata dall'Austria, per ordine del Sultano, Kara Mustafà pagò
la sconfitta con la morte.
Se dobbiamo credere alla tradizione, la vittoria sui Turchi ha lasciato
diverse tracce nel costume austriaco: le brioches a mezzaluna, le
teste di turco nei giardini delle villette borghesi, l'uso del caffè
conquistato agli assedianti e subito apprezzato dagli ex assediati.
Ma forse in realtà il caffè arrivò in Austria, come altrove, attraverso
i commercianti veneziani: ed è certamente leggenda la storiella dell'armeno
Koltschitzky che, in premio ai suoi servizi d'informatore durante
l'assedio, avrebbe poi ottenuto il permesso imperiale di aprire la
prima Koffeshaus.
Fra le varie mostre con le quali Vienna aveva celebrato la sua salvezza
del 1683, ce n'è stata anche una ("Il prodigioso accampamento di guerra
e di vittoria del principe Eugenio di Savoia"), nel castello del Belvedere,
costruito per conto del condottiero. Questo omaggio era giustificato
dal fatto che il giovane Eugenio, destinato a diventare vincitore
dei Turchi a Belgrado, fece la prima prova d'armi alla battaglia del
12 settembre.
Nel 1683, il Principe Eugenio aveva vent'anni:
era figlio di Eugenio Maurizio di Savoia Carignano, conte di Soissons,
generale di Luigi XIV, e di Olimpia Mancini, nipote del cardinale
Mazarino, amica d'infanzia del re di Francia. In quell'anno Eugenio,
orfano di padre e con la madre esiliata a Bruxelles per intrighi di
corte, aveva chiesto al re di poter entrare nell'esercito. Ricevuto
un rifiuto (e Luigi XIV avrebbe poi avuto molte occasioni per pentirsene),
Eugenio fuggì da Parigi con l'amico principe Conti che, raggiunto
e minacciato dagli emissari del re, a Francoforte decise di tornare
in Francia. Eugenio invece, orgogliosamente, continuò la fuga: andò
a Passau e si presentò all'imperatore, che lo aggregò alle truppe
del duca Carlo di Lorena.
Come ufficiale di quest'ultimo, il giovane Eugenio partecipò quindi
alla battaglia per la liberazione di Vienna. Poi, divenuto colonnello
dei dragoni, prese parte alle successive guerre contro i turchi e,
in particolare, alla presa di Ofen in Ungheria (1686) e alla prima
conquista di Belgrado (1688). Molti anni più tardi, nel 1717, la seconda
conquista di Belgrado lo avrebbe visto protagonista come comandante
in capo dell'esercito asburgico, prima accerchiante e poi accerchiato,
e tuttavia alla fine vittorioso: il cosiddetto "miracolo di Belgrado",
che fu una straordinaria vittoria del Prinz Eugen e l'inizio della
fine per l'Impero turco.
di LUDOVICO MARCHI
Bibliografia
* Gli Asburgo, di Toti Celona, vol. 2° della collana "Le grandi famiglie
d'Europa" - Ed. Mondadori, 1972
* Eugenio di Savoia, di Wolfgang Oppenheimer - Editoriale Nuova, 1979
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