L'isola dell'Asinara nell'antichità


Nella "Naturalis Historia" Plinio il Vecchio chiama l'isola dell'Asinara Isola d'Ercole (Herculis Insula) e l'attribuzione di questo nome si può spiegare tramite due ipotesi.
La prima si riferisce alla navigazione dei Fenici ed intende la divinità romana come una "traduzione " classica dell'Eracle-Ercole fenicio, Merkart.
Questa sembra essere l'interpretazione più seguita, soprattutto perché le recenti testimonianze archeologiche hanno rilevato, con certezza, che i Fenici frequentavano, per ragioni commerciali, le acque della Sardegna nord-occidentali.
La seconda ipotesi, invece, collega l'isola d'Ercole ad una serie di toponimi sparsi nel Mediterraneo occidentale e connessi alla " Via Eraclea ", che segna le tappe dei miti relativi al viaggio dell'eroe greco. Anche se, secondo gli antichi, Ercole non sarebbe mai sbarcato in Sardegna, ma vi avrebbe soltanto inviato i suoi cinquanta figli nati dalle altrettante figlie di Tespio, re di Tespi in Beozia, con a capo suo nipote scudiero Iolao.
L'isola d'Ercole rimane dunque avvolta nel mistero per tutto l'evo antico a causa dell'assenza di testimonianze archeologiche degne di nota.
L'unico reperto archeologico che proverrebbe dall'isola è un bronzetto nuragico, del VIII sec. a.C., rappresentante un bue stante, tuttora conservato nel Museo Archeologico Sanna di Sassari. Questo reperto, se veramente proveniente dall'Asinara, ci fornirebbe la documentazione di uno stanziamento dei Sardi nell'isola durante la prima età del ferro.
L'Asinara ha avuto grande importanza nel quadro delle rotte mediterranee, soprattutto perché offriva sicuro riparo alle navi in occasione delle maestralate.
L'utilizzo degli approdi dell'isola, in età romana, è intuito grazie all'archeologia subacquea. Infatti nei fondali del Golfo dell'Asinara sono stati trovati dei lingotti di piombo bollati, appartenenti ad un'imbarcazione naufragata prima di trovare scampo a ridosso dell'isola.

 

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