Riportiamo con grande interesse, per i fatti che ci racconta, la lettera che ci ha inviato una nostra conterranea, Adelina Sgrillo che, nata nell'anno 1916, nel 1951, in seguito al matrimonio, abbandonò Carife per tornare solo in qualche rara occasione, oggi vive a Salerno. Ringraziandola vivamente noi pubblichiamo con piacere il suo scritto eliminando i ringraziamenti e gli auguri che ci rivolge perché molto prolissi. Ci scusiamo con la scrivente se abbiamo dovuto rendere lo scritto più lineare per facilitarne la lettura ma il contenuto è stato rispettato.
"...Sono Adelina Sgrillo e nacqui a Carife il 21/11/1916, mia madre era Incoronata Clemente e mio padre Pasquale Vincenzo Sgrillo, a casa eravamo in dieci, otto figli più i genitori. Avevo due fratelli e cinque sorelle e si chiamavano in ordine di nascita: Angelo Raffaele, Maria Giuseppa, Olimpia, Ersilia, poi venivo io e a seguire Leonilda, Emilio ed Ermenilda. Oggi siamo viventi in quattro, sono morti Angelo Raffaele, Maria Giuseppa, Leonilda che era suora ed Ermenilda. Di Carife ricordo quando venne il Re Vittorio Emanuele III che era bassino, giunse da Vallata ed attraversò a piedi tutta via Roma risalendo in macchina alle Fontanelle, dietro di lui un corteo lungo lungo con gente a destra e a sinistra della strada per vederlo. Mentre attraversava il paese, un poverino gli andò vicino e gli disse:"Signor Caporale mi date un soldo?" e il Re rispose:"Uno scugnizzo carifano mi ha dato il titolo di Caporale e mi ha chiesto un soldo" ma non gli diede niente perché il giovanotto fu subito allontanato.
Della piazza San Giovanni mi ricordo che a sinistra della chiesa, uscendo da Messa, c'era la farmacia Forgione, poi il tabacchino di Ines saura e continuando a salire verso il municipio c'era un negozio di alimentari di " 'Za Catarina Rubina", poi il negozio di De Cicco che vendeva la stoffa e che, quando arrivavano stoffe nuove, ci chiamava per farcele comprare perché mia sorella Olimpia era sarta e ci confezionava subito dei vestiti nuovi che noi, subito indossavamo. Le altre ragazze vedevano noi coi vestiti nuovi ed erano invitate, così, a comprare le stoffe e a farsi cucire i vestiti.
Più sù verso il municipio vi era la casa di Don Vincenzo Tedeschi che stava per farsi prete ma non lo era ancora, ricordo che quella casa era bassa con travi di legno al soffitto e la mamma mi pare si chiamasse Emilia mentre il padre lo chiamavano "Stracciunciedd". Erano brave persone e ricordo che accettavano volentieri di far appendere i salami freschi del vicinato al soffitto per farli seccare. Di fronte c'era una casa con una piccola loggetta dove aveva un negozio di merceria Filomena Sauro "F'l'mnuccia". Nella discesa di fronte, poi, c'era un'altra casa, pure con una loggetta, ma più grande, dove vi abitava la maestra Melina, donna bassina, anziana, brava, che non aveva figli. Nella casa della maestra, io ci sono entrata, c'erano mobili antichi molto belli. Di fronte l'abitazione della maestra c'era lo "Stagnariedd' che lavorava lo stagno. Mi sono dimenticata di dire che nei pressi della piazza c'era anche la pasticceria di Filippo Grimaldi e che proprio nella piazza, a destra uscendo da Messa, c'era un altro negozio di alimentari gestito da "Za' milia" di cui non ricordo il cognome.
A salire ancora, verso il municipio, dopo la casa di don Vincenzo, sullo stesso lato, c'era una traversa dove era il forno per il pane detto della "Turt'ra" e dopo il forno vi era la spezieria di " 'za F'lcella" che aveva un figlio, Pasqualino che lavorava sul comune. La spezieria era molto frequentata a Natale perché lì si acquistavano: pignoli, uva passa, olio di ricino, caffè ecc...
Anche noi avevamo un negozio di generi alimentari, là dove abitavamo, verso le "Fontanelle"; vendevamo pasta, tinture per i panni, petrolio ecc... Il petrolio era in una botte di ferro e si teneva sulla strada, all'esterno del negozio e ricordo, che quando venivano a comprarlo, portavano piccoli bidoni e mamma metteva un tubo di gomma dentro la botte e succhiava far salire sù il petrolio e riempire i recipienti. Ricordo che le persone venivano e dicevano: "Due soldi di citrato, quattro soldi di pepe, un soldo di aghi, un soldo di ferretti per i capelli; c'era una, che si chiamava Felicella, che veniva a comprare quasi sempre appena avevamo chiuso il portone e così si riapriva di nuovo solo per lei. Tutto quanto vendevamo era "Sfuso", non era niente confezionato, ricordo che lo zucchero arrivava nei sacchi ed era parte in polvere e parte in pietra che noi dovevamo sfaldare, pure il riso arrivava nei sacchi. Quando partorivano le donne, la gente veniva a comprare pasta e zucchero per andare a trovarle ed allora si vendeva di più. Vendevamo anche l'olio di ricino ma di nascosto, non si poteva vendere; quanta miseria c'èra, troppo. All'epoca ci purgavamo spesso e per qualunque malattia, anche se veniva l'influenza assumevamo l'olio di ricino che puzzava in modo incredibile e quell'odore saliva sempre in bocca; una volta mi volevano purgare per precauzione, per evitare che potessi prendere una malattia, io, di nascosto, vuotai il bicchiere sotto al letto; poi fecero i cioccolatini purgativi che si chiamavano Kin Klack e che sostituirono l'olio di ricino.
Anche quando le donne partorivano, dopo il parto, si dovevano prendere la purga per precauzione. Ricordo che la "Via nova" era piena di femmine, solo femmine: a casa ne eravamo sei, a casa di "Titt' r' V'l'ntier' " erano cinque femmine, "'T'r'sina la f'rrara" teneva quattro femmine, "Zì Giuvannina r' M'chel'antonia" teneva pure quattro femmine e quando aveva "lu paricch'" in campagna, la mattina prestissimo ci chiamavano e noi le andavamo ad aiutare a fare la pasta fatta in casa.
Sono passati tanti anni..... ma era bello, anche se c'era la miseria..., era bello."