IL MESTIERE DELL’ARCHEOLOGO

 

Intervista a  Emmanuel Anati

a cura della redazione di Archeopterix

 

 

Perché l’arte preistorica in Italia è sottovalutata rispetto a quella di altre aree geografiche come, ad esempio, quella spagnola, francese, greca o australiana? Come si può fare per invertire questa tendenza?

 

Quando uno vuole invertire una tendenza la inverte, molto semplicemente. Ma per farlo bisogna crederci. Questo mi ricorda un mio professore: quando volevo organizzare un Centro che poi è diventato il Centro Camuno, avevo molte perplessità, volevo creare un comitato, una commissione… dopo tutto non avevo esperienza nella costruzione  di nuovi centri di ricerca… lui ha ascoltato le mie domande e mi ha detto: “Quando uno vuole fare una cosa la fa, quando ha delle perplessità si consulta con un amico, quando vuole arenare tutto crea una commissione”. Voleva dirmi che è importante sapere cosa si vuole e, in tal caso, agire.

Il poco interesse che c’è in Italia per l’archeologia e l’arte preistorica ha secondo me una ragione storica, ma le cose stanno cambiando. In Italia c’è stato un ventennio in cui l’archeologia era dedicata all’esaltazione della romanità, per cui ciò che non rispondeva alle esigenze di regime era messo in seconda categoria. C’è stato un intervallo di tempo in cui si cercavano le origini del proletariato. Poi nel ventennio successivo l’Italia doveva diventare il Paese cattolico per eccellenza e come sempre sono venuti in auge gli archeologi che mettevano in luce gli interessi politici della classe dirigente. Così siamo arrivati alla situazione attuale.

All’epoca del regime fascista, i professori, per poter insegnare, dovevano avere la tessera del Fascio: non erano necessariamente i migliori. Quelli che li hanno succeduti erano e sono i loro allievi. Quando le ragioni di Stato si sovrappongono alla ricerca, chi perde è la ricerca. In Italia, come in Germania o in Russia, lo stato di decadenza delle scienze umane, non solo dell’archeologia, è dato soprattutto dal fatto che c’è stato un periodo di asservimento della ricerca e dell’istruzione a un regime. E oggi continuiamo a subire pesantemente le conseguenze.

L’insegnamento universitario è inquinato. Vi sono ricercatori seri e importanti progetti scientifici, ma purtroppo vi sono anche ragioni politiche, populismo, faziosismo ed anche “maccheronismo”. Il sottoscritto ha fatto il professore universitario per oltre trent’anni, per cui posso dire che fra gli insegnanti universitari ci sono molti luminari, ma anche un inquinamento di base dovuto a un sistema che non sempre ha funzionato nell’interesse della ricerca e dell’istruzione.

Come si fa a cambiare? Si cambia. Il modo migliore per cambiare è cambiare: dare il buon esempio ed il proprio impegno con passione. E, se possibile, evitare comitati, delegazioni ed espressioni di pecorismo, ma stimolare il dibattito, l’analisi e il senso critico.

 

Lei  ritiene che l’università italiana offra una formazione adeguata alle nuove generazioni o ci sono carenze, soprattutto per quanto riguarda la pratica archeologica in senso stretto?

 

Nella tradizione italiana l’insegnamento dell’archeologia è per lo più di buon livello. Specie per l’archeologia classica. L’importante è che ognuno faccia bene la sua parte. L’università è fatta di individui di due tipi: insegnanti e allievi. Anzi, di tre tipi: insegnanti, allievi e burocrati. È la composizione di questi elementi a fare l’università: un’università con dei buoni professori e dei buoni allievi dà buoni risultati, mentre un’università con cattivi elementi da una parte o dall’altra dà cattivi risultati. Le regole universitarie sono fisse fino a un certo punto: chi vuole le cambia. I burocrati sono aumentati in modo tale da appesantire non solo i bilanci, ma anche gli iter e i protocolli. Troppe carte passano per troppe mani e molte sono inutili. Oggi la tendenza è quella di incrementare le macchine e diminuire i funzionari. I professori devono avere messaggi da trasmettere. Gli studenti devono programmare il loro futuro e devono impegnarsi per crescere, e ognuno deve credere in ciò che fa. Io per fare dei cambiamenti nell’università mi sono imposto e li ho fatti, ho avuto dei risultati che ritengo positivi, anche dal punto di vista didattico. Ho stimolato i lavori pratici, l’apprendistato, il dialogo costante. Per le scienze umane occorre una formazione di vasta cultura, non basta somministrare conoscenze tecniche. La metodologia, la filosofia della ricerca, il ragionamento scientifico, la visione culturale ampia sono elementi irrinunciabili. Ai miei collaboratori raccomando di evitare dogmi e assiomi, dimostrare l’attendibilità di quello che dicono, e di eliminare la retorica delle citazioni perché è sterile. Ogni studente è in potenza uno scienziato e come tale va considerato. La fiducia di un insegnante è per lui vitale.

 

Ci ha mostrato immagini di scavi effettuati in ogni parte del mondo: lei che si occupa di archeologia sul piano mondiale, cosa pensa dei siti italiani, a livello di gestione e anche di fruizione pubblica dei dati di scavo o di rilevamento rupestre?

 

E’ un problema che riguarda tutto il mondo occidentale, non solo l’ItaIia. I grandi centri monumentali sono stati trattati bene, in linea di massima, anche se le eccezioni ci sono dovunque. Il restauro dei palazzi classici, medievali o romani, o dei grandi centri come il Santa Giulia a Brescia o i Fori Romani, sono di un buon livello internazionale, anche se si può sempre fare meglio. L’impegno è stato dedicato a quei monumenti che riflettono un tipo idealizzato di società, ossia la società imperiale, la civiltà che ha potuto accumulare ricchezze e gloriarsi delle proprie opere d’arte. Mentre aspetti più modesti, ma forse altrettanto significativi, del nostro passato sono stati messi in secondo piano. Gli imperatori costruiscono i monumenti per immortalare se stessi e il proprio regime, a partire dai faraoni che costruirono le piramidi. La civiltà occidentale è condizionata dal gusto del “kolossal”. L’arte rupestre, che è un patrimonio diffuso in oltre 160 Paesi, conserva 50.000 anni di avventure intellettuali dell’umanità ed è la memoria delle vicende e delle emozioni dell’uomo, non merita quindi la stessa attenzione delle costruzioni monumentali? Una delle cose assurde è che la Valcamonica è stata il primo sito italiano ad essere riconosciuto dall’UNESCO  come  patrimonio  culturale  mondiale: il governo italiano non contribuisce come dovrebbe per la ricerca di questo patrimonio, mentre impiega miliardi per ricostruire anfiteatri o per rimettere in piedi le colonne dei monumenti romani. Non è che la Valcamonica sia un sito non riconosciuto, è un sito riconosciuto da tutto il mondo ad eccezione che dai governi italiani, i quali penalizzano il fatto che qui non c’è né romanità, né altro di cui il potere ritiene di avere bisogno. C’è una discrepanza di carattere politico nei riguardi dei monumenti: quelli da trattare bene e quelli da mettere in soffitta. Le cose cambieranno quando ci si renderà conto del lustro e del prestigio che l’Italia, quindi anche la sua classe politica, può ricavare dall’arte rupestre della Valcamonica: un immenso archivio iconografico che restituisce all’Europa 10.000 anni della sua storia, un emporio che fa riscrivere la storia dell’arte, una sorgente inesauribile per la storia delle religioni, una nuova dimensione per la conoscenza dei popoli delle Alpi e della pianura Padana.

 

Rispetto all’estero qual è il rapporto tra i ricercatori e le istituzioni o gli enti statali, in merito alla ricerca e alla conservazione del patrimonio culturale?

 

L’estero non è un’entità unica. Se paragoniamo la situazione italiana a quella di Papua o del Madagascar, in Italia la situazione è rosea. Se la paragoniamo invece con quella della Francia, della Spagna, del Canada, dell’Australia o dell’Inghilterra, vediamo che noi non siamo proprio tra i primi, malgrado ogni tanto si sentano vanti del genere. Ci sono Paesi che sono all’avanguardia, che hanno una grande sensibilità, un grande impegno per la valorizzazione del proprio patrimonio, che credono nella propria storia; ci sono Paesi che sono all’inizio della scoperta del proprio passato, e altri che sono tanto fieri dei monumenti più appariscenti che mettono in disparte altri aspetti del patrimonio archeologico, aspetti che potrebbero invece arricchire e dare una dimensione nuova alla cultura del Paese. Vi sono casi di conflittualità tra enti e ricercatori, ma per lo più sono dovuti all’amore per la propria disciplina e al desiderio di operare di più e meglio.

 

Si sono fatti riferimenti e confronti soprattutto con Paesi europei come Francia, Inghilterra, Spagna. Quale può essere un possibile iter o almeno un primo passo per la valorizzazione dei siti italiani?

 

Ci sono due aspetti da considerare: uno legislativo e l’altro pratico. Dal punto di vista legislativo, il fatto che ogni Paese europeo abbia una propria legislazione, a volte in contrasto con le altre, è un anacronismo che va superato. L’Europa ha bisogno di una legge unitaria per il proprio patrimonio culturale, di un libero mercato del lavoro, della ricerca e dell’insegnamento. La ricerca è necessaria all’insegnamento, in particolare lo scavo e le altre ricerche sul terreno. C’è bisogno anche di un iter nel quale ci siano dei ricercatori che ricercano e dei sovrintendenti che sovrintendono. In Italia è spesso il sovrintendente (burocrate, pur con formazione archeologica) che scava e finisce con lo svolgere due funzioni. In questo modo non può dare una valutazione critica di quello che viene fatto. Questo grosso difetto può essere modificato non  tanto  cambiando la legislazione italiana,  quanto  creando una legislazione europea con cui tutti i Paesi si confrontino e si trovino d’accordo.

Secondo una tendenza diffusa in Europa, l’amministrazione e la tutela del patrimonio archeologico andrebbero separate dalla ricerca, perché le competenze sono diverse. Per quanto riguarda la valorizzazione del patrimonio, ogni Paese fa delle scelte e l’Italia ha fatto la scelta del monumentale. Il monumentale però è quello che i burocrati decidono che è monumentale: se ci sono delle colonne è monumentale, se ci sono delle incisioni rupestri non è monumentale. Anche in questo caso occorre una revisione e una rivalutazione più obiettiva del valore del patrimonio. Questo può essere fatto soprattutto coinvolgendo la cultura, con un nuovo tipo di educazione, con un insegnamento che permetta di vedere l’archeologia come strumento per la creazione di storia, come strumento di appoggio per la storia dell’arte, per la storia delle religioni, per la psicologia, la sociologia e per la valorizzazione del territorio. Tutto questo va visto nel suo insieme perché serva a migliorare il livello di vita, la conoscenza e la coscienza del cittadino nei riguardi del patrimonio comune della società.

 

Una via da seguire potrebbe essere il museo etnografico locale?

 

Questo da solo, soprattutto se fatto male, non serve molto. Se si fa, va fatto bene. Certamente la creazione di musei locali può aiutare. Bisogna rivedere il concetto di museo che va visto non come una serie di statue o di vetrine, con didascalie ovvie e banali, ma come uno spazio attivo, volto a mostrare la scoperta e la ricerca in azione e a coinvolgere i partecipanti. Bisogna che il museo faccia vivere la realtà del passato. Far vedere delle opere d’arte come se fossero dei pezzi di antiquariato, ignorando il contesto sociale e culturale, è controproducente, perché anche i più giovani non sono più interessati a questo. Il 90% dei musei italiani va rifatto, compresi purtroppo anche quelli aperti di recente. Ma il museo da solo è uno strumento insufficiente. La conoscenza del passato deve entrare a fondo nella cultura e nell’istruzione per arricchire gli interessi e quindi il livello di vita. Il museo può e deve essere parte di questo processo.

 

Privatizzazione dei siti archeologici. Ha senso secondo lei introdurre il privato all’interno della gestione e valorizzazione di un sito?

 

Se ci sono delle leggi che regolano bene la cosa, allora il fatto di ottenere investimenti privati e che aiutino a valorizzare un patrimonio pubblico è positivo. Se invece si scatenano l’anarchia e la commercializzazione selvaggia, non va bene. Ci vogliono delle regole precise ed una deontologia da rispettare.

 

Per quanto riguarda il futuro, quali sono gli sbocchi concreti a livello di ricerca e soprattutto a livello professionale per i giovani che si interessano e studiano l’archeologia?

 

Ci sono impieghi tradizionali, che sono quelli di servizi nei siti archeologici, quindi guide, operatori culturali, direttori, organizzatori di parchi, curatori di musei, allestitori di mostre, convegni, corsi, c’è l’editoria scientifica e l’insegnamento universitario. Poi ci sono le carriere dei funzionari pubblici. Il Centro Camuno per esempio ha scelto l’iniziativa privata. C’è sempre spazio per chi ha spirito di iniziativa e per chi crede in ciò che fa.

 

Per quanto riguarda la didattica della Preistoria, quali sono gli aspetti secondo lei da valorizzare per interessare nuove generazioni di studenti? Abbiamo visto filmati, video, si è

parlato anche di Internet…

 

Io vedo la didattica più che altro come un apprendistato. La didattica solamente teorica va bene per chi vuole fare teoria o erudizione per il resto della propria vita. Mentre per chi vuol fare dei lavori pratici e inserirsi con le proprie iniziative nel mondo del lavoro, l’insegnamento deve essere un apprendistato: bisogna imparare a lavorare, non soltanto imparare la teoria, e questa è una regola che ho sempre seguito nell’insegnamento universitario. Somministrare solo teoria è a mio avviso negativo, perché su 100 ci sono 8-10 persone estasiate dalla teoria e che ne vengono condizionate. Le altre 90, però, sono disorientate perché finiscono l’iter universitario e non sono capaci di trovare un lavoro. Quindi usare l’apprendistato, far lavorare gli studenti sul campo, inserirli nel sistema, è il tipo vincente di insegnamento. La cosa più importante è che, chi ci riesce, si inventi un lavoro che lo appassioni, che lo stimoli, che lo aiuti a scoprire il proprio potenziale, che risvegli il proprio cervello.

 

Parliamo della sua storia personale: qual è stata la spinta maggiore che l’ha fatta proseguire in questo campo fino a creare il Centro Camuno?

 

Se volessi rispondere come tanti direi la fame. La fame è spesso il fattore che ha spinto l’uomo a darsi da fare. Può essere anche fame di gloria o di sicurezza, però come vedete non è il mio caso. Per me, la spinta è sempre la curiosità. Quando ho preso la maturità mio padre mi ha iscritto a Ingegneria, sono andato ad ascoltare due lezioni e ho capito che non era la mia vocazione. Poi ci sono voluti due o tre anni per trovare la mia strada, ho iniziato a studiare geografia e storia, pensavo di andare in giro per il mondo a scoprire isole sconosciute, poi ho scoperto che di isole sconosciute non ce n’erano più. Fisicamente di isole sconosciute non ce ne sono più, ma quante isole sconosciute ci sono nella storia dell’uomo? Sono quelle che stiamo cercando di recuperare! La passione per un lavoro nasce praticandolo, impegnandosi con la volontà di apprendere, capire, allargare le conoscenze, vivere le emozioni dell’impegno intellettuale.

 

Ci ha colpito una frase del suo libro Le Radici della Cultura, quando nell’Introduzione parla del suo professore, che le diceva che la ricerca archeologica deve essere fine a se stessa. Ci sembra che lei per tutto il libro risponda sostanzialmente il contrario. È ancora della stessa idea?

 

Poche cose nella nostra esistenza sono fini a se stesse. Ogni cosa ha una proiezione verso il futuro, verso i risultati che si ottengono grazie a quello che si fa.  Il  processo  scientifico  consiste  essenzialmente  nel  fatto  che  ogni nuova acquisizione porta ad acquisizioni successive. La dichiarazione che la ricerca archeologica è fine a se stessa è un incitamento alla sterilità. Questa era la tendenza dei benpensanti di cinquant’anni fa.

 

L’archeologia quindi veicola valori?

 

E me lo domanda? Questa è una domanda che ha una risposta scontata, è ovvio che veicola valori. Risponderei che i valori che veicola dipendono da chi li veicola. Il creativo trasforma materia in energia, ma se uno è tonto veicola valori tonti.

 

Quali prospettive concrete vede per noi?

 

Se avete intenzione di creare un gruppo di lavoro, l’importante è decidere se siete cacciatori di caccia grossa o di caccia piccola. I cacciatori del Paleolitico cacciavano il mammuth, lo inseguivano per giorni e, una volta abbattuto, lo squartavano e lo portavano a casa sulle spalle. Ovviamente una o due persone non potevano riuscirci e quindi la caccia al mammut imponeva di essere un gruppo importante. Poi i mammut sono scomparsi e l’uomo ha iniziato a cacciare lepri o fagiani. Naturalmente andare in trenta nello stesso territorio a cacciare fagiani, non era economicamente vantaggioso, quindi il grande gruppo di cacciatori si è ridimensionato in nuclei più piccoli, per cui ognuno cacciava il suo fagiano. Per lavorare in gruppo, come per qualsiasi altra cosa, dovete avere un programma. Quando siete sicuri che è attuabile, allora dovete passare dalla teoria alla pratica. Se volete restare insieme, dovete avere una strategia che vi permetta di farlo.

Ad esempio, se volete fare una cooperativa di scavi archeologici dovete avere un sovrintendente come referente. Una soluzione potrebbe essere prendere l’appalto di un parco archeologico o di un museo. Altra possibilità è lo sviluppo di un progetto editoriale a livello mondiale, multilingue, con messaggi forti. L’arte preistorica ha un richiamo viscerale. Sarebbe possibile produrre libri seri, documentazione iconografica su vari argomenti: arte rupestre, maschere rituali, pali totemici ed altro, o sviluppare ricerche e studi su Australiani, Boscimani, Eschimesi, Pigmei, Beduini, Mongoli, e su altre popolazioni delle quali abbiamo una quantità enorme di documentazione iconografica poco nota.

L’uomo non ha ancora superato se stesso. Riuscire a diffondere questo prodotto a livello mondiale, può diventare una bella iniziativa. Però se si pensa di creare un mercato puramente italiano  è  meglio  non  illudersi, perché di italiani che comprano libri del genere non ve ne sono abbastanza per far sopravvivere un’iniziativa del genere.

Un altro tipo di impresa che si può sviluppare è una équipe specializzata nel settore dell’arte rupestre per la creazione di parchi e riserve, sviluppi culturali, didattici e turistici. La cosa può funzionare solo se si è disposti a lavorare anche all’estero, in Australia, in Azerbaijan, in Tanzania, nel Sud Africa, in varie parti del mondo. Anche questo è un progetto che si può sviluppare solo se la gestione, la promozione e l’organizzazione sono di buon livello.

Anche il restauro è un’attività che ha delle grandi promesse, perché oggi c’è bisogno di restauro, sia nei musei, sia nei siti archeologici, per salvaguardare un patrimonio in via di distruzione.

Se volete fare una cooperativa che si occupa di archeologia dovete trovare qualcosa di diverso da quello che venti cooperative stanno già facendo, faticando a sopravvivere. Evitate iniziative che si basino esclusivamente sull’utilizzo di denaro pubblico. L’autofinanziamento lo si raggiunge con la logica e la prospettiva, proponendosi come organismo utile che viene richiesto e pagato per quello che fa.

 

In un progetto editoriale, sarebbe possibile una collaborazione con il Centro Camuno e con altre realtà internazionali?

 

Tutto è possibile, ma considerate che le collaborazioni sono valide quando sono proficue per tutti i partecipanti. Nuove forze, nuovi impegni, nuova immaginazione, sono indispensabili e il Centro Camuno, come altre realtà nazionali e internazionali, sarebbe molto lieto di accogliervi e di coinvolgervi per crescere insieme. Sarebbe un magnifico sbocco. Occorre determinazione, ma soprattutto, occorre amore e devozione.

Io vi faccio tanti auguri, non prendete le cose con approssimazione e superficialità e quando avrete deciso non fermatevi a metà strada. Ricordate che il lavoro occuperà almeno il 50% della vostra vita. Fare un lavoro noioso segna un triste destino. Il lavoro deve avere profonde motivazioni, deve tenere vivo il vostro entusiasmo, deve dare un senso alla vostra vita, deve ogni giorno stimolare il vostro intelletto, deve farvi vivere in quattro dimensioni.

 

 

 

                © iftsarterupestre 2002                                                HOME PAGE