INTERVISTA AL PROFESSOR CASTELLETTI

a cura di Silvana Damiani e Loris Fato

Ci parli brevemente del suo Museo

Premetto che vi sono più musei che costituiscono nell’insieme il sistema museale urbano di proprietà comunale. Quando ho iniziato nel 1981 c’erano il museo archeologico “Giovio”, il museo storico “Garibaldi” e il Tempio voltiano ora in corso di restauro; poi si è aggiunta una sezione che è diventata molto rilevante, il laboratorio di archeobiologia, e sul finire degli anni ottanta la pinacoteca, attualmente anch’essa in fase di ristrutturazione. Vi sono inoltre altre realtà esterne che fanno capo ai musei, come la porta praetoria, l’ingresso principale della cinta muraria romana, che siamo in atto di valorizzare, perché è di grande interesse dal punto di vista storico e spettacolare e il museo Casartelli, una esposizione didattica molto significativa realizzata negli anni venti.

C’è anche l’impianto termale…..

Sì, anche se la tutela e il controllo dell’impianto termale romano sono di pertinenza della Soprintendenza Archeologica per la Lombardia.

Riesce a creare una sorta di comunicazione tra queste varie realtà che parlano diversi linguaggi?Non è molto facile. Il museo archeologico e il laboratorio vanno di pari passo per le numerose affinità esistenti, mentre abbiamo trasferito il materiale di interesse artistico nella pinacoteca e siamo in una fase di progettazione avanzata per definire il nuovo assetto del museo storico.. Nell’operazione di riorganizzazione del museo archeologico abbiamo tenuto conto anche dell’antica esposizione ottocentesca e del fenomeno del collezionismo, in modo tale da mantenere una certa continuità col passato restituendo in alcune sale, il sapore del vecchio museo composito con le sue vetrine originali. Alcuni servizi sono trasversali, come la biblioteca, dotata di 10.000 titoli informatizzati e in catalogo on line, che è suddivisa in tre sezioni, la principale presso il museo archeologico, le altre due rispettivamente in pinacoteca e nel laboratorio. Come nella maggior parte dei musei di vecchia data, le necessità di riordinare, studiare e riesporre i reperti accumulati nel tempo ci ha vincolati a un lungo lavoro sui deposti non del tutto terminato, lavoro che ha richiesto l’impiego notevoli risorse finanziarie ed umane, a parziale svantaggio della ricerca sul territorio. Abbiamo così revisionato i materiali dei vecchi scavi, e quello via via donato dai privati, realizzato esposizioni fisse e temporanee delle collezioni riordinate, ma abbiamo potuto attuare solo in parte la finalità che ci eravamo posti dall’inizio, cioè quella di documentare in modo compiuto la storia del popolamento umano del territorio attraverso l’archeologia.. Tuttavia, come si può constatare nel percorso di visita, abbiamo avuto l’opportunità di riempire più di una lacuna nelle sequenze cronologiche dalla Preistoria al Medioevo, attraverso un certo numero di scavi effettuati sul territorio.

Attualmente ci sono progetti di ricerca in cantiere?

I progetti di ricerca in cantiere più numerosi e articolati sono quelli del laboratorio. Tuttavia anche la sezione archeologica sta svolgendo ricerche per quanto riguarda gli scavi sul territorio, due per la precisione in questo momento, in regime di concessione e con i limiti che ne conseguono, soprattutto per la possibilità di effettuare ricerche complementari di superficie e di avere la facoltà di controllare i numerosi cantieri di scavo per l’edilizia che si aprono sul territorio.

Per quanto riguarda la pinacoteca, le ricerche si concentrano soprattutto sui materiali già in collezione in vista delle nuove esposizioni, essendo la struttura temporaneamente chiusa., mentre sul territorio vengono svolte attività di inventariazione in coordinamento con la Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici, la Provincia e la Regione. Rimane comunque il problema della sproporzione delle risorse impegnate nella sistemazione e manutenzione delle collezioni e quelle destinate alla ricerca sul territorio che dovrebbe essere, io credo, una delle missioni fondamentali di un museo. Così facendo si produrrebbe fra l’altro materiale di prima mano per la divulgazione e la didattica……

In questi ultimi anni ci sono stati restauri importanti nel museo?

Nel museo archeologico abbiamo creato ex novo la sezione del collezionismo, esponendo molti dei vecchi materiali e cercando di mantenere alcune caratteristiche della filosofia espositiva ottocentesca. E’ stata inoltre sviluppata la nuova sezione preistorica e protostorica nel 1997, ad opera della conservatrice Marina Uboldi e ultimamente, nel settembre 2001, è stata inaugurata la sezione romana frutto dell’impegno dell’altra conservatrice, Isa Nobile. Quest’ultima sezione è assai diversa dalle altre, sia per le caratteristiche degli spazi, sia perché essendo troppi i materiali a deposito abbiamo dovuto seguire un filo conduttore sviluppato per temi anziché per ordine cronologico.

Che criteri ha seguito?

I criteri usati per la sezione del collezionismo sono relativamente semplici: abbiamo ricreato il museo di un tempo, naturalmente limitandolo ad alcune sezioni più significative, come la raccolta egizia, la sala dei vasi greci, quella delle gemme l’antica sala preistorica con l’affresco della cartografia archeologica del Lago di Varese, la sala dei bronzetti.. Per la parte preistorica e protostorica è prevalso, il criterio cronologico. Inoltre date la tipologia delle sale del palazzo è stato necessario armonizzare con gli ambienti i corpi espositivi, apponendo le didascalie e le ricostruzioni grafiche a parete e utilizzando l’illuminazione esterna. L’abbondanza di materiali dell’Età del ferro ha penalizzato l’armonia della esposizione, tuttavia si può affermare che quella di Como è senz’altro al più ricca e documentata esposizione esistente relativa alla cultura di Golasecca.

Al di là dell’esposizione vera e propria - intendo teche e collezioni - c’è un modo più dinamico per valorizzare la preistoria

Una esposizione di preistoria pur trattando un argomento in sé suggestivo, non possiede generalmente elementi di forte attrazione per il pubblico. Anche i recenti programmi scolastici tendono a eludere la preistoria che di conseguenza viene considerata con curiosità ma anche con distacco quando è esposta in maniera non appariscente e spettacolare. Al fine di attirare l’attenzione del pubblico si preferisce utilizzare criteri espositivi scenografici, fare uso di diorami, si modelli, di multimedialità, di accorgimenti appariscenti, mentre sarebbe preferibile inventare nuovi modelli didattici e nuove forme di comunicazione che sappiano coniugare l’immediatezza della comunicazione con la ricchezza di contenuti, non escludendo ovviamente i dispositivi che la tecnologia ci mette a disposizione

Non bisogna tuttavia dimenticare il condizionamento dell’architettura. Lavorando in musei ospitati in vecchi edifici si resta vincolati in modo stretto alle inevitabili costrizioni spaziali e alle esigenze di un restauro rispettoso dei valori antichi. Avevo espresso alla fine degli anni settanta un giudizio obiettivo su palazzo Giovio giudicandolo un po’ limitante per la didattica archeologica. Tuttavia bisogna convenire che l’intervento dell’architetto Darko Pandakovic è riuscito ad armonizzare perfettamente il palazzo con le esposizioni, conferendo una particolare leggerezza alla parte espositiva, che non disturba gli ambienti settecenteschi, e anzi li integra con un arredo moderno ma coerente sul piano estetico. Nonostante questo successo il problema di più ampi spazi per la didattica rimane aperto e dovrà essere risolto con una integrazione agli edifici storici, negli spazi a fianco del Museo attualmente utilizzate per attività non museali, ma per i quali esistono già precise indicazioni di progetto. Per la didattica abbiamo naturalmente provato e continuiamo a provare la via del computer, con esiti peraltro modesti, e l’uso del webb, .

Alla luce delle esperienze di didattica fin qui condotte sia nell’ambito di “Scuola Museo” che rivolgendoci per il pubblico generico, possiamo affermare che va presa in considerazione la formula del museo all’aperto, formula che ha avuto ed ha tuttora successo nei paesi europei e che potrà averlo anche da noi, con incremento di partecipazione e maggiore efficacia dell’azione educativa. L’archeodromo o il museo all’aperto, sono soluzioni che devono essere sviluppate coerentemente ma con un occhio sempre rivolto all’educazione pubblica. Occorre infatti sgomberare il campo dalla retorica del profitto del bene culturale, dal momento che persino nei “science-centers”, formula vincente di museo sotto il profilo dell’efficienza gestionale, si coprono con gli introiti a malapena il 40-50 % delle uscite.

Se potesse esprimere un desiderio chiederebbe un nuovo museo?

Come ho detto prima propenderei per un museo all’aperto, una farm, un museo in cui una parte sia all’aperto, un’altra consista in una esposizione tradizionale, con possibilità di interazione del pubblico con materie prime e materiali e una terza sia dedicata alla ricerca, perchè la ricerca è l’origine prima della didattica. Uno degli scopi del museo archeologico è quello di farci riconoscere come parte stessa specie che ha prodotto i manufatti più diversi e più sparsi nel tempo e ciò significa fare o provare a fare gli oggetti che compaiono nelle nostre esposizioni Il museo diventa flessibile, si può facilmente sostituire un’attività con un’altra, mentre ciò diventa  impegnativo con le esposizioni tradizionali. Al museo Giovio siamo stati tra i primi, quasi vent’anni fa, a elaborare delle attività didattiche sperimentali destinate principalmente alle scuole, come la scheggiatura della selce, la tessitura, la produzione della ceramica, la preparazione dei cibi e così via.

Esistono ancora queste attività didattiche?

Si, esistono ancora queste attività e inoltre stiamo cercando di rinnovarle, anche se rimangono i limiti di spazio cui accennavo. Quindi la mia idea è quello di sviluppare in un museo numerosi ambienti per la didattica alle scuole, con grandi spazi e possibilmente anche spazi all’aperto però difficilmente reperibili in ambito urbano. A riprova della bontà di questa formula cito il fatto che il piccolo orto botanico di piante romane realizzato nel cortile del museo storico esercita fascino e attrattiva sul pubblico.

Lei parlava di disinteresse nei confronti della preistoria dovuto, molto probabilmente, ad una maggiore valorizzazione del classicismo. Secondo lei è doveroso indirizzare l’attenzione (anche attraverso il museo) verso le nostre radici più lontane

È indispensabile perchè bisogna dare un giusto posto anche a voci meno forti e più lontane nel tempo. Se vogliamo continuare ad occuparci del passato, ritenendo che questo possa essere una scuola dove si esercitano certe qualità intellettuali, dobbiamo farlo con onestà. Il che significa bilanciare le varie parti, correggendo squilibri dovuti a condizionamenti di varia natura. Il pubblico insegua la spettacolarità e richiede sensazioni forti, soprattutto attraverso formule che assicurano le prerogative dell’unicità,  del mai visto, del gran numero di oggetti insieme tutti in una volta ecc. Questa domanda di spettacolarità può penalizzare l’archeologia, soprattutto quella preistorica. Quando si parla di preistoria si pensa soprattutto a Stonhenge o alle incisioni rupestri e questo tipo di archeologia  è molto, molto più efficace promozionalmente di quella che tratta per esempio di microliti. È tuttavia necessario ravvivare a tutti i costi l’interesse con attività riqualificanti che possono avere carattere stabile o temporaneo ma  anche ripetitivo, anche nel caso delle mostre. Io credo che la stessa mostra, gli argomenti della stessa mostra, vadano ripetuti e riproposti in diverse forme. Credo sia utile insistere sullo stesso tema, svilupparlo, curarlo, farlo crescere. Questo richiede anche  il coraggio dell’insuccesso apparente , cioè per esempio dei numeri modesti di visitatori. A mio avviso una buona operazione culturale e può considerarsi tale anche senza grandi numeri di visitatori, pur condividendo perfettamente le  esigenze dell’ente che organizza, investe e quindi chiede un ritorno di immagine. Ma se la logica è puramente quella monetaria, la scelta è obbligata. È necessario tentare di uscire da questa logica. Un museo locale assolve il suo compito se fa ricerca e diffonde cultura nel territorio, anche se si propone ad un pubblico non particolarmente numerose. La volontà di fare può essere anche circoscritta ad un target limitato di persone non necessariamente alle grandi masse, che sono viceversa il pane quotidiano dei grandi musei e delle città d’arte.

A conclusione ritengo certi slogan molto pericolosi come quello del giacimento culturale, un mitico vaso di Pandora in gradi di riversare ricchezze su tutti. I giacimenti culturali sono in realtà comunque  onerosi ma il concetto può indurre a equazioni pericolose, come ad esempio che essi deve assolutamente rendere, e che ciò che non rende vada eliminato...

Ormai c’è una tendenza all’industrializzazione dei beni culturali…..

Non è sbagliato. In fondo quando prima parlavo di Museo all’aperto, parlavo di non-museo. E quindi credo che per fare un museo non siano indispensabili tutti i vecchi paludamenti.  L’offerta può anche essere diversa. Ci sono moltissimi tipi di museo, dal museo delle bambole al museo agricolo e così via: strutture molto differenti che inducono ad una semplificazione eccessiva di ciò che è per sua natura vario e differenziato. Ci sono differenze enormi tra museo e museo, tipologie diverse tra le quali corre un baratro. Quindi è importante, sia per la fruizione che per lo sviluppo di ogni singolo museo, studiare una strategia appropriata.

Quali sono le attività didattiche che il suo Museo porta avanti?

Sono attività didattiche nate nei primi anni ottanta, in tempi oramai lontani, ragion per cui stiamo progettando altre proposte. Alcune attività sono nate come conseguenza delle ricerche svolte dal laboratorio di archeobiologia, come per esempio quelle sull’alimentazione e sui tessuti. Quest’ultima è nata perché abbiamo cominciato a studiare tessuti archeologici di tombe longobarde e quindi avevamo esempi diretti ai quali ispirarci per creare delle attività legate alla realtà della ricerca. Si mostra come nasce un filato, quali fibre si usano, come si procede nelle varie modalità di tessitura, sempre con esempi archeologici e soprattutto con la partecipazione attiva degli studenti. Anche le esercitazioni sull'alimentazione, sullo studio delle ossa umane e animali e dei resti vegetali nascono da questo filone di ricerca.

Queste attività hanno incontrato il favore delle scuole?

Sì, certamente limiti numerici dovuti a limitazioni di spazio per questo sogniamo di poter disporre anche di spazi all’aperto; basta costruire un modello di capanna, disporre degli strumenti e si vede tutto in un’altra ottica, più “verista”.

È il segreto del successo dell’Archeo Park di Darfo Boario Terme?

Sì, alludevo appunto a questo.

Mi è parso di intuire, nelle sue parole, un certo assenso nei confronti della comparatistica. In alcuni ambienti accademici viene denigrata. Lei cosa ne pensa?

Io sono favorevole ad uno sviluppo dell'archeologia anche in senso "americano", senso che l'archeologia possa essere considerata un capitolo dell'antropologia. La comparatistica non è assolutamente una forma ingenua di trasferimento di tipologie e comportamenti dall’etnografia all'archeologia. e viceversa. I preistorici, e in genere gli archeologi del secolo scorso, nonostante certe semplicità di metodo colpivano spesso nel segno dal punto di vista dell’interpretazione funzionale, è dovuto anche al fatto che vivevano in una società che forniva ancora modelli viventi di tecnologie ed economie molto più vicine alla preistoria di quanto siano quelle odierne.

 Ci ha parlato del laboratorio, in che cosa consiste?

E’ stato costituito nell'81 e  ampliato nell'86: è un laboratorio di archeobiologia, attualmente fra i più attivi in Italia. Sviluppa i suoi compiti sui materiali organici: resti botanici, resti animali e resti umani. Raramente, a livello internazionale,  si trovano riunite tutte queste competenze in un unica struttura. La formula con cui viene gestito tutto questo è piuttosto interessante. Il laboratorio è come i musei comunal, svolge ricerche per proprio conto e soprattutto effettua ricerche per conto terzi, cioè per Università, Soprintendenze e Musei. I lavori vengono  affidati ad una cooperativa di ricercatori che hanno raggiunto una notevole esperienza nel loro settore scientifico. In altre parole una Soprintendenza  sta eseguendo uno scavo e vuole conoscere i dati sull’ambiente, l’economia agricola, l’allevamento l’uso di materie prime di origine organica ecc.: ci interpella e noi effettuiamo le campionature necessarie. Poi studiamo il materiale in laboratorio e una relazione che in genere viene pubblicata su un periodico o un volume specializzato. Naturalmente per far questo bisogna  anche avere un'attrezzatura adeguata, infatti siamo stati il primo museo in Italia ad avere avuto un microscopio a scansione, già nel 1986. Inoltre il laboratorio possiede e collezioni di confronto notevoli come ad esempio, la collezione di semi recenti ed antichi di scavo che ci vede  al quinto posto nella graduatoria europea. In questi venti anni di attività abbiamo studiato oltre 700 siti archeologici diversi e abbiamo prodotto diverse centinaia di pubblicazioni. Il laboratorio, nato come appendice del museo archeologico, si è poi sviluppato indipendentemente, pur continuando a farne parte a interagire con esso e a costituire un importante serbatoio di informazioni per l’attività espositiva e didattica.

 Ci può dire qualcosa sulle pubblicazioni del Museo?

Non abbiamo mai realizzato un periodico archeologico perché a Como esiste la gloriosa "Rivista archeologia comense", che quest'anno compie 100 anni. Abbiamo però fondato  una serie di monografie dal titolo"Archeologia dell'Italia settentrionale". La Pinacoteca ha avviato la pubblicazione di una serie di monografie dal titolo “I quaderni della Pinacoteca” curate dalla conservatrice, Letizia Casati. Inoltre produciamo cataloghi e libri di argomento archeologico, artistico e storico.

Il museo organizza delle mostre?

Il museo organizza soprattutto mostre medio-piccole. In Pinacoteca si sono realizzati cicli di mostre e anche mostre importanti.   La mancanza di spazio ci impedisce  di realizzare grandi avvenimenti nel Museo archeologico. Abbiamo avuto modo di utilizzare gli spazi di  villa Olmo che dipende dai Musei. Quest’anno grazie alla collaborazione con l’ Università dell’Insubria  e il Centro Volta è stata proposto un nuovo tipo di mostra, che ha avuto successo e che si spera possa diventare permanente. Si tratta di una mostra interattiva di carattere scientifico intitolata "Di luce in luce"il cui  intento è quello di creare intorno al tema della luce un insieme di proposte che vanno dagli aspetti puramente scientifici e sperimentali, a quelli letterali e artistici

Qual è il rapporto tra il museo e la città?

A me pare che il rapporto sia  buono, soprattutto in questi ultimi anni, quando siamo usciti dalla fase di riordino e di restauro  depositi e abbiamo iniziato a proporre esposizioni permanente rinnovate. Contiamo ora sulla inaugurazione del Tempio Voltiano rinnovato e sulla riapertura della pinacoteca, che è uno spazio interessante in sé  per i contenuti e per come essi verranno proposti.

Comparando musei italiani e musei europei, i musei italiani dimostrano spesso una certa arretratezza…

E’ vero senz’altro ma è altrettanto vero che c’è un fermento di rinnovamento che già ha prodotto e potrebbe produrre risultati eccellenti.

Secondo lei da cosa dipende questo gap?

Per certe soluzioni museografiche noi abbiamo in certi casi un atteggiamento come dire un po’ snobistico, per esempio verso i musei all'aperto. Nei confronti di soluzioni considerate troppo disinvolte abbiamo avuto sempre manifestato una certa diffidenza

Il fatto di voler contestualizzare a tutti i costi, conservare rigorosamente in situ, come si dice. è molto importante e interessante, ma può anche essere rischioso in una società come la nostra che distrugge e dimentica. Quindi bisogna stare attenti a voler essere a tutti i costi coerenti, di una coerenza spesso filosofica e formale, che può portare brutte sorprese sulla scala di decenni allontanando il pubblico dai mus

Quali sono le figure professionali necessarie ad un museo e quali competenze devono avere?

La Regione Lombardia ha codificato negli ultimi tempi, in accordo con altre Regioni e con lo Stato, le figure principali. Queste figure sono ovviamente la figura del direttore, su cui si potrà discutere (anche se credo che la questione sia chiusa) se debba essere un tecnico o un manager, cioè una persona che ha la classica veste dello studioso o una persona più orientata al commerciale.

Poi annoveriamo i conservatori dato che il direttore - di qualsiasi estrazione professionale sia - non può, in un museo di una certa dimensione, essere onnicomprensivo di tutte le differenti realtà. Poi ancora la figura del responsabile dell'educazione, dato che la missione di fondo del museo è proprio questa. Infine le figure del responsabile della sicurezza e naturalmente del personale che accoglie il pubblico.

Lei condivide questa importazione generale che ha dato la Regione?

Condivido senz'altro la normazione delle figure professionali fondamentali, direttore e conservatori e in particolare il risalto dato alla missione educativa dei musei e alle figure che afferiscono alla sicurezza.

Come si reperisce il materiale di un museo archeologico?

In un museo archeologico non statale la questione è molto seria in quanto lo Stato condiziona fortemente qualunque attività di ricerca. Il museo non può fare scavi liberamente o fare ricerche in superficie, ma solo in regime di concessione. Per vari motivi adesso si fanno soprattutto scavi di emergenza, il che è molto riduttiva dal punto di vista scientifico: io credo che l'archeologia vada risolta per problemi, per ipotesi formulate su scala maggiore o minore, ma sempre tenendo presente la necessità di un riferimento territoriale e lo scavo è la principale verifica per le ipotesi formulate e al tempo stesso un congegno che serve a innescare altre ipotesi e così via. Il controllo capillare del territorio potrebbe essere effettuato utilmente da strutture decentrate, come i musei locali, alla stregua di quanto avviene in altri paesi. Il controllo attento dei movimenti di terra è insieme alla survey l’unico modo per ricuperare le tracce generalmente sempre deboli di tutto ciò che è preistoria e che nella maggior parte dei casi è destinato a scomparire sotto la ruspa.

Dal mio punto di vista è altrettanto importante un livello a carboni quanto un muro romano. Un livello di carboni può essere il residuo di una foresta bruciata, e anche la foresta è, da alcuni millenni, un "edificio" fatto dall'uomo, ordinato e modificato su larga scala. Un muro sembra una cosa diversa, è un manufatto ma l’importanza, ai fini di ricostruire una storia globale è irrilevante .

Secondo lei lo stato dei beni culturali in Italia va nella direzione di uno sviluppo auspicato o auspicabile per persone che come noi frequentano questa scuola? Secondo lei c’è l’effettiva possibilità di riuscire a lavorare?

All'inizio, diciamo dieci o più anni fa, ero più pessimista circa la possibilità di poter esercitare una professione nel campo dei beni culturali soprattutto nel settore archeologico, tenuto conto che il riferimento sostanziale era l’assunzione nell’ente pubblico, Soprintendenze e Musei. Poi i fatti, per fortuna, mi hanno smentito. Mi sembra che siano sorte nuove realtà professionali e che altre si vadano “creando” nel campo della ricerca, della tutela e della valorizzazione didattica e turistica, in un quadro di vivace imprenditorialità. Quindi la strada sembra aperta, però userei prudenza nel prevedere successi incondizionati per tutti,  mentre sarei propenso a incitare ad avere coraggio e iniziativa per costruire il proprio percorso professionale.

Per noi è un dibattito quotidiano. Da una parte c’è la passione, dall’altra c’è la dura realtà…

Contano anche le scelte politiche e i condizionamenti culturali. La nostra società produce una enorme quantità di cose inutili e, nello stesso tempo, considera inutile proprio le ricerche di archeologia preistorica. Il problema però è anche questione di domanda: è importante esercitare un'azione incisiva a livello culturale sul pubblico, perché un pubblico non condizionato solo dalle poche forme di cultura di massa, è sicuramente un pubblico orientato verso una maggiore curiosità e sensibilità per fenomeni culturali considerati minori.  Poi c’è il problema delle mostre che non sono sempre uno strumento culturale mirato e coordinato , anche se porta conoscenza e cultura. Per rimanere nel nostro campo si sa che le mostre di archeologia preistorica hanno poco successo e che crea insoddisfazione da parte di chi le organizza e da parte chi le sponsorizza alimentando una pericolosa spirale riduttiva che sminuisce la visibilità della disciplina restringendo indirettamente anche sempre più le opportunità di spazi e risorse per la ricerca. Secondo me occorre che tutti quelli che si occupano di archeologia preistorica, che è l'anello più debole, si impegnino a fondo in questo ambito di promozione equilibrata della loro scienza.

Ci sono delle felicissime realtà come quelle del museo di Bolzano dove si fa veramente la coda per poterlo visitare. Che ruolo ha giocato un buon lavoro di marketing?

Il marketing gioca un ruolo fondamentale accanto alla promozione. Anche questo deve essere argomento di studio e di apprendimento a livello universitario per i futuri operatori museali.

Avete prodotto cataloghi su Cd-Rom o avete materiale on line

Siamo stati fra i primi ad avere un grande sito web e ora siamo inseriti nel portale del comune ma stiamo lavorando per costruire siti indipendenti per i musei e il laboratorio

Per quanto riguarda i CD ROM abbiamo prodotto qualcosa per mostre e abbiamo alcuni spezzoni di film, mentre la biblioteca dei musei possiede anche una buona raccolta di videocassetet a soggetto archeologico.

C’è qualcosa di cui le interesserebbe parlare? Qualcosa che le sta molto a cuore e che non è emerso nelle domande precedenti?

Mi preme molto il discorso sul ruolo presente e futuro del nostro museo e del museo in genere nella società moderna. Credo, come molti colleghi, mentre  continuo a svolgere il mio lavoro di sentire la necessità di fare una riflessione su molti temi che ci stanno a cuore . Fra i tanti vorrei in particolare riflettere sul problema se sia meglio avere sempre più tanti musei di piccole dimensioni o concentrare le risorse su un numero ridotto di musei importanti È un discorso che va affrontato seriamente Il numero dei musei condiziona le risorse e anche la qualità dei musei. È chiaro che un museo legato all'ambito della grande città ha risorse molto superiori rispetto a quello delle piccola e media città.

La discussione sui musei, quindi, sul loro ruolo e funzione, non è ancora terminata.

Mi sembra che alcuni dibattiti si stiano facendo piuttosto interessanti. Per esempio quelli che si tengono nel forum dei musei storici in Lombardia dove numerosi  i musei regionali della stessa tipologia si confrontano. E’ questa una delle tante strade per fare uscire i musei dal loro isolamento perché affrontino insieme i problemi della loro esistenza

 

 

 

 

 

 

 

 

                © iftsarterupestre 2002                                                HOME PAGE                                                  ultimo aggiornamento   14/02/2003