SEQUENZE A “FUMETTI” NELLA NARRATIVA DELLE STELE DAUNIE

Laura Leone

 

     E’ noto che prima dell’avvento della scrittura alfabetica i popoli preletterati si sono  espressi attraverso il linguaggio figurativo, ideografico. Ciò che è meno noto è che nel corso della storia umana, per almeno trentacinquemila anni, idee semplici o molto complesse sono state espresse in disegni intrecciati a fondamentali unità simboliche e concettuali. Le istoriazioni spesso erano ordinate secondo sintassi e si componevano di  una o più  “frasi” dal chiaro, oppure oscuro, contenuto;  tali sintassi sono il tenue filo d’Arianna nel labirinto delle difficili ideologie del passato. La prerogativa sintattica, tuttavia, non sempre rivela i contenuti degli antichi messaggi, l’ermetismo ideografico era strettamente legato al contenuto intrinseco del disegno. In ambiente iniziatico, religioso, i contenuti erano criptati per non essere compresi da tutti, mentre in ambienti celebrativi, commemorativi, assumevano connotazioni più esplicite. Identificare la sintassi di un sistema descrittivo  significa, però,  conoscerne la chiave di lettura, il percorso dell’idea disegnata.   

I Dauni, come gli altri popoli preletterati loro contemporanei, espressero  idee e concetti  nel  sistema ideografico, usando immagini e scenette sulle famose stele istoriate (VII-VI sec. a.C.). Qui ne viene riportato un esempio del tutto inedito, attraverso la rilettura di una porzione della cosiddetta stele Sansone (conservata a Mattinata). Michele  Sansone fu il  farmacista-antiquario appassionato di storia locale  che per primo segnalò l’esistenza dei monumenti dauni a Silvio Ferri. Egli riunì, nella sua antica farmacia-museo una piccola collezione di reperti di varie epoche provenienti dal Tavoliere e dal Gargano. La collezione è stata inventariata dalla Soprintendenza e lasciata in situ

Per comprendere le narrazioni distribuite sul corpo delle stele è necessario, a nostro avviso procedere con l’individuazione delle associazioni tra le varie scene. Infatti con tale metodo si è riconosciuto un meccanismo fondamentale nella sintassi ideografica daunia, finora ignorato, che manifesta l’esistenza della sequenza di scene; frasi grafiche in successione usate per narrare un racconto o un mito.  Esattamente come  accade con le vignette dei fumetti.

La stele Sansone, come le altre maschili, raffigura il corpo di un dio-guerriero o eroe mitico (a quel tempo scolpito centinaia di volte dai fedeli, insieme ad una coeva divinità femminile preposta ad altre competenze; LEONE L. 1996 “Oppio. Papaver Somniferum, la pianta sacra ai Dauni delle stele” in Boll. Centro Camuno di St. Preist. N. 28; vedi anche stesso articolo nel sito Internet  www.artepreistorica.it), sul quale sono state disegnate alcune scene in sequenza. E’ il caso di soffermarsi su tre scenette (A- B- C), poste in vari punti sul petto, fra le mani, del monumento: A) sulla mano destra; B) sulla mano sinistra, C) sotto la mano sinistra. Al centro del petto domina il disegno del salvacuore, mentre in basso si riconosce la spada (Fig. 1).

Le tre situazioni illustrate dal narratore daunio, devono contenere  uno stesso protagonista che (al momento solo deducibile) di volta in volta ha partecipato alle tre scene. Non staremo, qui, a cercare le sue connotazioni mitiche o temporali, piuttosto tenteremo di descrivere le situazioni ed  il simbolismo utilizzato.  

A)  Nella prima scenetta, ambientata in battaglia, vi sono tre individui (contrassegnati dai numeri 1-2 -3): 1, ha lo scudo e con la lancia colpisce il numero 2;  più sotto c’è il n. 3 ritratto mentre tende una fionda.  Del  personaggio 1, il guerriero, purtroppo si vedono solo i piedi e parte dello scudo, una profonda scalfittura ha asportato il resto del suo corpo. Il senso esplicito di questa vignetta è che egli, in battaglia,  ha ucciso qualcuno (un nemico ?) con un colpo di lancia. Di tutta la stele questo è da considerarsi il punto focale, anche il più drammatico, dove la vittima è apparentemente disarmata e viene infilzata. La costruzione del monumento ebbe qualche implicazione con questo tema.

B) Nella seconda scenetta due personaggi sono seduti l’uno di fronte all’altro (scena più volte rappresentata sulle stele), dietro, in secondo piano, c’è un tavolino con una ciotola. A sinistra siede il personaggio più importante, quello col copricapo conico (verosimilmente un sacerdote o anche una sorta di sciamano), a destra siede colui che potremmo designare come il protagonista del racconto, uno dei personaggi della scenetta precedente. Questi è a colloquio, col  sacerdote che gli offre una bevanda in una tazza, dalla sua bocca esce una nuvoletta ad indicare il fiato espressivo. Il tutto è presenziato da due animali estremamente simbolici del mondo ctonio, riferibili sia agli inferi che al sommerso psichico, un cane ed un grosso pesce associati sintatticamente al sacerdote, l’indovino,  il medium impegnato in una evidente seduta magico-terapeutica.  Questa scenetta centrale è quella di raccordo con le altre. In un libero tentativo di interpretazione il protagonista dell’uccisione potrebbe, per esempio, sentire il bisogno di parlare con lo sciamano per consultare gli inferi, espiare una colpa,  conoscere l’esito della sua  azione coraggiosa (oltraggiosa ?). Ma è, soprattutto, una scena chiarificatrice di quella seguente.

C)   La terza situazione, la più sintetica delle tre, vede lo stesso personaggio di prima in stato di allucinazione, seduto a colloquio con  un enorme, mostruoso cane.

E’ facile vedere in quest’ultima l’epilogo dell’azione in svolgimento nella scena B, dove già l’interlocutore del  sacerdote aspettava di incontrare il cane mostruoso, il demone al quale aveva qualcosa da chiedere. Questo è stato possibile grazie alla bevanda “magica” offertagli, la quale gli ha permesso di accedere al mondo del sommerso, rappresentato dal pesce e dal cane. Il simbolismo di questi due animali parla chiaro, colui che ha bisogno di loro non è morto, ma entra in contatto con le entità degli,  da loro simboleggiate, con l’aiuto del sacerdote.

La storia che lega  queste tre scene, è incentrata su un personaggio protagonista di eventi molto importanti, per se stesso e forse anche per la comunità che rappresentava. Eventi di una storia, o la rievocazione di un mito,  degni di essere impressi sul corpo della statua-stele.  La tentazione di giungere ad interpretazioni mitiche, note, avvolte in giustificazioni funerarie del monumento porterebbe, come al solito, a semplificare la finalità di quest’arte Daunia. Ma anche italica, in genere. 

    Se si guarda alle stele daunie come  ad entità protettrici, alle quale affidare: richiese, ringraziamenti, narrazioni di eventi decisivi dell’esistenza dei fedeli committenti, la storia in questione viene a determinate il vettore iconologico per la creazione della stele Sansone. E’ una storia, naturalmente, da completare col resto del tessuto narrativo. Questa stele, come le altre, è stata creata da colui che aveva bisogno di  raffigurare una storia tale, da ricordare,  affidata al suo supporto di pietra per  indirizzarla alle forze competenti. Uno dei motivi per tralasciare un’interpretazione incentrata sul defunto (come sempre si è fatto finora considerando le stele daunie  esclusivamente funerarie), è nel fatto che la scena centrale (sintatticamente la più importante) vede il medium che aiuta il richiedente in vita a parlare col cane, sia anche Cerbero, che ancora non è diventato un’allucinazione. Storie di eroi o soldati  che interrogano le forze degli inferi, per responsi o quesiti che li tormentano, fanno parte di  molte culture  passate. 

 

                © iftsarterupestre 2002                                                HOME PAGE