Marcello Mogni

Le Opere
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     Nato a Genova il 19 gennaio 1967,diplomato con lode all'Accademia Linguistica di Belle Arti di Genova, vive e lavora a Genova operando nel campo delle arti visive.

                                                     La Critica

                                 
Identità in divenire
     Un busto femminile dipinto si offre alla luce con caratteristiche d'immagine sfocata, come se un vento avesse soffiato sulla persona in posa o come se la macchina fotografica (nell'atto di ritrarla), avesse subito un urto al momento dello scatto dando così origine a un'immagine "mossa".
     E proprio questo viso luminoso appena percepibile nei lineamenti, dipinto da Marcello Mogni con criteri realistici e tratto da fotografie di giornali alla moda, appare alla visione come un'enigmatica e inquietante presenza che si sottrae all'operazione di codifica poiché i tratti distintivi denunciano evidenti rimozioni.
     Un po' come succede quando si alita sullo specchio: si appanna l'immagine riflessa pur individuandone le fattezze.
     Ma c'è di più, oltre ad un complicato processo nebulizzante che agisce da diluente sugli elementi connotativi si sovrappone l'idea mentale di un campo magnetico percepibile alla visione attraverso la sequenza di lande verticali (od orizzontali) che solcano la superficie pittorica allo stesso modo dei "disturbi" televisivi.
     Disturbi che offendono la visione e ottenuti "tirando" la pittura coi peli del pennello, in modo che il colore debordi dai limiti compositivi.
     Avviene allora un'uscita di campo da parte dei segno, capace di abilitare effetti speciali attorno al ritratto con la materiaIizzazione di uno spazio lucente, mobile, energetico, connesso a un'impressione d'aura.
     Naturalmente qui i passaggi dalla forma rifinita a quella più soffusa dell' alone (che elimina le linee di contorno) sono graduali così da produrre il non facile esito di dissolvenza, leggibile per esempio nelle deformazioni delle icone fotografiche, filmiche o quelle tecnotroniche da video.
     Come del resto le evocano anche i colori a olio, tenuti sui registri aggressivi degli aranci, verdi, viola (sovente accostati ai complementari che hanno il compito di aumentarne la forza timbrica), tipici delle accensioni cromatiche a carattere digitale.
     Si attiva allora un immaginario flou in cui l'identità delle persone (un campionario di giovani metropolitani tratti da riproduzioni mediali) diventa sfuggente, irriconoscibile, irraggiungibile.
     Nell'arte contemporanea, questo linguaggio caratterizzato dalle dissolvenze e dialogante con la tecnica fotografica è senz'altro riconducibile alla figura pop dell'inglese Richard Hamilton o ancora a quella carismatica dei tedesco Gerhard Richter i cui dipinti sembrano cogliere soggetti in movimento o caratterizzati da violente sfocature.
     Che è poi quello a cui tende lo stesso Mogni attraverso il lavoro paziente di pittore mentre per alcune soluzioni tecniche di sfumato, dove appunto i connotati fisionomici perdono nitore, s'ispira anche ai plastici esiti dello storico Medardo Rosso.
     E' sua infatti la scultura innovativa, antimonumentale di fine ottocento e primi novecento: egli muove da una forme chiusa che, idealmente percossa dallo spazio circostante, pare dissolversi nell'ambiente aprendosi ad esso.
     Questo avviene in funzione della luce che sdrucciola facilmente su piani non rifiniti, non pienamente modellati, concretizzando in virtù di ciò quel senso scivoloso delle forme.
     Anche Marcello Mogni individua sagome non pienamente concluse e ne rafforza gli effetti concentrando l'attenzione sui guasti prodotti dalle "bande visive" che attraversano la superficie pittorica affinché concorrano a sconvolgerne le strutture.
     Una pittura quindi come riproduzione di un reperto fotografico ulteriormente distrutto spostando il senso da uno stato d' istantaneità a quello di costruzione codificante, di pittura sulla pittura, quasi immagine di luce che si dissolve per fornire la sua intima quintessenza.
     Naturalmente tali figuralità sembrano assumere valore totemico nell' esaltante aura che le circonda; aura quale segno significante di un' interiorità psicologica e quale energia galvanica capace di roteare nel vasto magma dell'inconscio.
     Ma proprio in quest'accezione, l'abile manipolazione pittorica dell'artista contribuisce ad evocare quegli specifici stati dei profondo atti a suggerire possibili e probabili identità.
     Identità ovviamente in germinazione, proposte esclusivamente a livello embrionale e che attendono d'inverarsi negli identikit di prossime, future generazioni.
     Una simbolica manipolazione genetica, dunque, capace di prefigurare un'umanità in divenire anche se contemporaneamente non ci si esime dal rispondere a inquietanti interrogativi cui ci sottopone l'odierna scienza delle biotecnologie, investendo la sfera dell'etica.
     Sono di questi giorni infatti le diatribe etico-scientifiche nate attorno alla volontà di clonare l'uomo e di manipolare i suoi codici genetici.
     Allo stesso tempo, questi inquietanti personaggi, a metà tra apparizione e realtà fisica, tra interiorità dell'essere ed esteriorità mondana, sembrano transitare eterei sulla scena della pittura, ora abbagliati dalle luci di vetrine ora da fari d'automobile o da vetri specchianti delle abitazioni, o ancora, immersi in fosche e funamboliche atmosfere così da oltrepassare i confini della materia per suggellare un abbraccio tra immanenza e trascendenza, tra Eros e Thanatos, tra vita e morte.
     D'altra parte il filosofo Paul Virilio ci suggerisce che stiamo assistendo ad un'apocalisse, cioè "alla fine di un mondo che vede la nascita di quello nuovo": da qui il pericolo "di un'estetica siderale della sparizione e non più dell'apparenza".
     Per questo motivo l'arte " nella fase della globalizzazione, per tentare di esistere può fare riferimento al corpo, l' ultima cosa che resiste".
     Ed è certamente quello a cui pensa Marcello Mogni quando colloca in ambiti urbani le sue fantasmatiche figuralità come possibili habeas corpus, vale a dire personaggi che portano il loro corpo: una sorta di parvenze spettrali che denunciano sì la sparizione, ma al contempo sanno proporre una futuribile identità, sebbene in dissolvenza.
 

                                                                                                                   Miriam Cristaldi
                                                                                                                                                             Genova, 2001

 

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