Le piante


 

Un acquario senza piante? Equivarrebbe ad un bel quadro senza cornice.

Ovali, oblunghe, spatiformi, verdi, rosse, striate, nane, giganti, fluttuanti… chi potrebbe resistere al loro fascino?

Croce e delizia di ogni acquariofilo. Ci dilettano con i loro colori e con le forme più stravaganti, ci aiutano a mantenere equilibrato l’ecosistema del nostro acquario, fungono da pronto rifugio per i nostri pesci, ma quante incognite dietro la loro coltivazione. Il ghiaietto: ma di che dimensione? Lo strato di terriccio: ma farà bene? Il fertilizzante: quanto, come e quando? L’impianto di CO2: ma che è?

Interrogativi che, almeno una volta, ci saremo posti nel vedere le nostre piante, magari poco tempo dopo il loro acquisto, deperire a vista d’occhio sotto le sferzate dei pesci pulitori che con avidità si nutrivano delle spoglie galleggianti di quelle che, giorni prima, erano delle meravigliose appendici dell’acquario.

Personalmente non ho mai avuto grossi problemi nella coltivazione delle piante d’acquario, eccezion fatta per delle sporadiche manifestazioni algali che sono generalmente riuscito a contenere con danni limitati.

Mi sono avvicinato ai diffusori di CO2 soltanto recentemente e più per curiosità che per effettiva necessità, anche se devo indubbiamente ammettere che i benefici sono stati evidenti in pochissimo tempo.

Tralasciando momentaneamente questi accessori, di cui magari tratteremo incidentalmente nel prosieguo, vorrei rappresentare le mie esperienze di “coltivatore acquatico” maturate nei diversi biotopi che ho realizzato con i miei acquari, evidenziando i pro ed i contro che ho potuto riscontrare con le diverse tecniche di coltivazione, avuto riguardo altresì alle reazioni dei pesci.

Preliminarmente distinguerei due categorie di piante utilizzate in acquariologia: le piante acquatiche propriamente dette e le piante che si “prestano” a vivere sommerse.

La prima categoria comprende la stragrande maggioranza di quelle comunemente in commercio, che spaziano dall’Anubias all’Aponogeton, dalla Cabomba al Ceratophyllim, dall’Echinidorus all’Hygrophila, dalla Synnema alla più nota Vallisneria.

Al secondo ambito fanno capo tutte quelle piante non propriamente acquatiche o palustri che, utilizzate spesso in coltura idroponica, vengono prestate al mondo dell’acquariofilia, essendo commercializzate come piante sommerse.

Rientrano tra queste, che per ovvi motivi non consiglierei, il Syngonium, la Fittonia, lo Spatiphyllim ecc.

Si tratta evidentemente di specie destinate a vita breve che, seppur coltivate con mille accorgimenti, deperiscono spesso per marciume radicale o basale, ovvero per insufficienza di spettro luminoso, in assenza del quale non riescono a portare a termine in modo adeguato e completo il processo di fotosintesi.

Le piante acquatiche “propriamente dette”, potrebbero essere ulteriormente suddivise in due vasti gruppi: 

  1. piante a crescita veloce, ma spesso più delicate, esigenti ed a volte inadatte a pesci “irruenti” (ciclidi) 

  2. piante a crescita lenta (o più lenta) ma di notevole impatto visivo, soprattutto se riescono ad attecchire e a ben svilupparsi.

Il primo gruppo comprende generalmente piante steliformi, totalmente sommerse o con fusti parzialmente galleggianti, con foglie opposte (Cabomba, Cardamine Lyrata, Ceratophyllum, Ceratopteris, Elodea).

Nel secondo gruppo rientrano piante generalmente cespitose, a foglia larga, lanceolata e spatiforme (Echinodorus, Anubias, Aponogeton, Vallisneria).

Questo secondo gruppo è certamente quello che preferisco in relazione alla robustezza, facilità di coltivazione, capacità di ossigenazione e, naturalmente, effetto scenico.

Uno degli aspetti più controversi nella coltivazione delle piante in acquario è quello relativo all’uso di terricci fertilizzanti.

Tali composti, generalmente a base di estratti di torba, opportunamente fertilizzata, vengono posti al di sotto dello strato di ghiaia, all’atto dell’allestimento dell’acquario.

Alcuni esperti considerano superata ed inopportuna tale tecnica di coltivazione in considerazione degli svantaggi che determina: acqua ambrata, pulviscolo in sospensione, necessità di pulizie più frequenti del vano filtro ecc.

Personalmente ho potuto constatare che, nell’allestimento di biotopi amazzonici e comunque ogni volta in cui vi sia la necessità di ricreare condizioni di acqua “scura” e ricca vegetazione, l’uso di tali substrati è risultato di notevole aiuto, ripagando gli inconvenienti sopra evidenziati con eccezionali e rigogliose crescite.

Ovviamente esistono oggi in commercio preparati liquidi o in stick capaci di ricreare condizioni chimico fisiche pressoché equivalenti a quelle naturali, ma ho potuto verificare che alcune specie di piante come gli Echinodorus, che coltivo sia in vasche allestite con terriccio, che in acquari privi di tale accorgimento, si sviluppano in maniera più veloce, maggiormente consistente e con colori più brillanti nel primo caso, anche in assenza di fertilizzazioni liquide.

L’uso di uno strato di un paio di centimetri di ghiaia sottilissima (cui si aggiungerà comunque il ghiaietto prescelto) immediatamente sopra quello del terriccio fertilizzante, aiuta ad evitare o limitare la fuoriuscita di particelle organiche.

Suggerisco comunque di utilizzare tali prodotti sempre in quantità limitata, evitando accumuli che potrebbero creare seri in convenienti durante un’eventuale sifonatura del fondo.

Ritengo comunque di potere consigliare, almeno come esperienza, l’allestimento con substrato di fondo.

 

Un piccolo cenno conclusivo meritano i diffusori di CO2 che sembrano vivere un momento di gloria.

Le piante, si sa, per vivere, prosperare e riprodursi hanno bisogno di molteplici elementi nutritivi (macroelementi e microelementi). 

Una delle sostanze di cui necessitano per non deperire è certamente il carbonio che le piante acquatiche estraggono dall’anidride carbonica (CO2).

In acquario, tale composto è presente per effetto della respirazione dei pesci, nonché quale prodotto rilasciato a seguito del processo di decomposizione di sostanze azotate.

La quantità di CO2 presente nell’acquario è spesso insufficiente a soddisfare le necessità delle piante che, opportunamente, estraggono la fonte di carbonio dai bicarbonati contenuti nell’acqua medesima, facendone però ridurre pericolosamente la durezza carbonatica (KH) e rendendo instabile il ph (la cui stabilità è, invece, determinante in ogni allestimento acquatico).

L’uso dei diffusori, che non sostituiscono comunque una corretta fertilizzazione, nel ripristinare la quantità di CO2 necessaria alle specie di piante allevate, aiuta contemporaneamente a stabilizzare kh e ph rendendo così ottimali per piante, pesci e per i nostri occhi, le condizioni dei nostri acquari.


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