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Ficarolo
Scoperte - Data 18/05/2002
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Il maso e la terra  

I centri rurali altoatesini sono distribuiti in modo sparso, e da secoli mantengono praticamente intatta la loro proprietà. Qui vige l’istituto del “maso chiuso”, dell’azienda agricola unifamiliare e indivisibile che si tramanda per diritto di primogenitura maschio. Gli altri eredi vengono liquidati in contanti o con altre forme e devono lasciare il maso familiare per un’altra attività o, se restano, devono adattarsi a lavorarvi come “salariati”. Questa forma giuridica, del tutto contraria con lo spirito del diritto romano, e , ai nostri occhi, decisamente ingiusta, ha tuttavia garantito la sopravvivenza del maso, situato talvolta in posizione disagiata e insufficiente a sostenere più di una famiglia. In simili condizioni, il frazionamento della proprietà avrebbe avuto conseguenze disastrose per l’economia.

Il “maso chiuso”, è istituito da Maria Teresa d’Austria nel 1770; è stato riconosciuto dall’ordinamento giuridico italiano e continua perciò a dare la sua impronta alle valli altoatesine.

Il maso, la casa rurale sede dell’azienda agricola, è di solito in legno, talvolta in pietra nella parte inferiore sulla quale si appoggia quella superiore in legno, con tetto spiovente, ballatoi esterni e finestre fiorite; il fienile è annesso. Sul territorio del maso, che costituisce una entità economico-sociale essenziale alla realtà agricola altoatesina, si trova di solito un terreno coltivabile, un bosco, una stalla per animali, un prato per il pascolo. Alcuni hanno forni di pane in edifici a se stanti e mulini con canaletti in legno per l’acqua. Non tutti i masi sono uguali naturalmente. I più alti si trovano intorno ai 2000 metri, in Val Senales, Val di Fassa e Val Venosta. Uno dei più belli, sempre in Val Venosta, sopra il lago di Vernago, è il Maso di Finale, dove trovò rifugio il fuggiasco Federico Tascavuota .

(N.B.: l’istituto del "maso chiuso", sarà applicato da Leis Ortensia e Zampini Ugo per il podere di San Vincenzo di Galliera (Bologna) che passerà a Zampini A. e da lui a Zampini L.).